Il supermarket della vita umana…

Ovuli in vendita a seimila euro


On line fiorisce il commercio globale dei bambini in provetta. I cataloghi delle donatrici consentono persino di selezionare le qualità dei figli…


di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

Ovuli in vendita su Internet, cataloghi di donatrici fra cui scegliere il colore degli occhi dei propri figli in provetta, società che organizzano viaggi in Africa per comprare gli ovuli – pare – ambitissimi delle donne di colore. È lo scenario che emerge da un’inchiesta pubblicata dall’International Herald Tribune del 30 gennaio.
È un articolo che tutti dovrebbero leggere, perché contiene la raffigurazione più eloquente del mondo in cui – forse senza rendercene conto – stiamo vivendo. Un mondo che assomiglia sempre più a quel Mondo nuovo di cui parlava con inquietante profezia Aldous Huxley, in un romanzo del 1930: la maternità tradizionale abrogata dalle leggi e dai costumi; l’amore fra uomo e donna sostituito dall’esercizio della sessualità come ginnastica rigorosamente sterile; i figli prodotti esclusivamente in laboratorio, e cresciuti per nove mesi in grembi di plexiglas, discriminati in base alle loro caratteristiche fisiche e intellettuali.
Certo, non siamo ancora giunti a tale pauroso sconquasso. Ma leggendo questa inchiesta inglese ci si rende conto che abbiamo imboccato con decisione quella strada. L’Herald Tribune ci racconta – non senza un certo compiacimento – che ci sono «cliniche belghe, spagnole, greche che corteggiano le donne su internet, dove rimbalzano immagini di pancioni gravidi, di mamme che allattano e di famiglie felici, vantandosi di avere lunghissime liste di donatori e ritmi competitivi». Il linguaggio tradisce una stupefacente mutazione dei costumi: ci troviamo ormai in una grande fabbrica globalizzata, la fabbrica della vita umana. Nella quale l’uomo e i suoi «pezzi» sono diventati una variabile commerciale, un prodotto da vendere, una domanda e un’offerta da far incontrare.
Quanto costa un ovulo di femmina d’uomo? Al consumatore – cioè per la donna che vuole avere un figlio – in Europa i prezzi oscillano tra i 3.300 e gli 8.000 dollari (fra i 2.500 e i 6.000 euro). Le «donatrici» di New York – che però sono, a essere rigorosi, delle venditrici – portano a casa fino a 7.000 dollari per ovulo, circa 5.500 euro. Siamo entrati nel supermercato della vita umana. E attenzione: non è solo una questioni di soldi: anche se fosse tutto gratis – ma non lo è, perché il business è l’unica anima di questo commercio biologico – saremmo comunque di fronte a un cambiamento epocale, al capovolgimento di quello che i filosofi chiamano il paradigma morale. L’uomo non più visto come fine in sé, ma come mezzo. Quando diciamo che siamo persone, stiamo affermando che nessuno di noi ha un prezzo. Il prezzo si attribuisce alle cose. Ma compulsare il catalogo on line alla ricerca dell’ovulo migliore significa proprio questo: ridurre l’uomo a una cosa. Il metodo è lo stesso – ci si perdoni l’inevitabile comparazione – che gli allevatori di bestiame attuano da tempo quando, desiderando migliorare la razza dei propri capi, cercano sul mercato della fecondazione artificiale «prodotti» interessanti. Un gesto che non ci impressiona, perché abbiamo ben presente la differenza che esiste fra un uomo e un vitello. Ma ora, questo supermarket dell’ovulo ci getta in una crisi profonda, avvicinando paurosamente ognuno di noi a una merce di scambio. Evapora così del tutto il valore dell’uomo in sé, e rimangono soltanto le sue qualità: biondo o bruno, occhi azzurri o castani, alto o robusto. Si vuole un figlio a tutti i costi, e lo si prenota con le caratteristiche fenotipiche volute. Intendiamoci: ogni donna sogna il suo bambino ideale, prima di vederlo in faccia. Ma la grandezza di questo amore sta nel fatto che quel cucciolo d’uomo troverà l’abbraccio di una madre, pronta ad accoglierlo per quello che è: un figlio. Nulla a che vedere con la pretesa di ordinare il bambino à la carte, l’uomo che vale solo se ha le qualità che mi aspetto.
In fondo, il vero combustibile di questo inedito mercato degli ovuli è la «dittatura del desiderio», l’ossessione di dover raggiungere una certa meta tanto agognata, anche a costo di sacrifici inenarrabili. Le donne di cui parla l’articolo dell’Herald Tribune si sobbarcano viaggi onerosi e faticosi, pagano profumatamente la «materia prima», si sottopongono a tentativi spesso infruttuosi, corrono rischi per la loro salute. Le «donatrici» non se la passano meglio, visto che la procedura medica presenta un conto assai salato al loro corpo: devono assumere ormoni quotidianamente per un mese, sottoporsi a numerose visite, procedere alla invasiva estrazione degli ovuli, esponendosi a rischi tutt’altro che marginali. Tutte – acquirenti e donatrici – hanno latenti problemi psicologici: alcune di loro dichiarano che non vogliono conoscere la provenienza dell’ovulo, o che sarebbero turbate dal sapere che «ci sono altri miei figli in giro per il mondo».
Ovviamente, la sapiente regia che ha messo in piedi questo lucroso mercato copre con una cortina di silenzio tutti questi aspetti imbarazzanti. E a nessuno è dato sapere con precisione quanti siano gli embrioni che – vittime di questa fabbrica dei bambini su prenotazione – sono sacrificati sull’altare del desiderio invincibile. Se ne può avere forse un’idea leggendo i dati contenuti in uno studio di prossima pubblicazione, preparato dal magistrato italiano Giacomo Rocchi, sulla base dei dati disponibili in letteratura. Nonostante in Italia sia in vigore una legge sulla fecondazione artificiale ritenuta restrittiva, gli embrioni vittime di queste tecniche sarebbero circa 80mila ogni anno. Se è questo il «mondo nuovo» che stiamo costruendo, di certo non è un bel mondo.


Il Giornale n. 27 del 2007-02-01