Il «don Chichì» a Lourdes e a Milano …

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E don Camillo vide arrivare i «don Chichì»
là dove non pensava che arrivassero



1) Quel «rock cristiano» che profana Lourdes    di Rino Cammilleri
2) Videoarte nel cuore del Duomo di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

1)


Quel «rock cristiano» che profana Lourdes


di  Rino Cammilleri

Come sa bene chi c’è stato, davanti alla grotta di Lourdes il tempo si ferma. Ci si siede su una delle panchine e si sta a guardare la statua di Maria. Possono trascorrere ore, così, e non ci si annoia, non ci si stanca, non assale il pensiero improvviso di qualcosa di urgente da fare, di più importante che star lì. Ci si passi l’espressione, è come stare sotto una campana di vetro in cui regna la pace più assoluta, profonda e lieve allo stesso tempo. È come se le tentazioni, anche minime, e la frenesia dell’esistenza non potessero penetrare in quello spazio circoscritto di quiete dell’anima. Quasi non viene neanche in mente di assillare la Madonna con le richieste, le suppliche, le invocazioni con cui di solito si condiscono le preghiere. Si è sazi di star lì, in silenzio. E nel silenzio. Come se tutte le impellenze che avevamo messe in valigia allo scopo, appunto, di sciorinarle davanti alla Vergine fossero dimenticate. E dimenticate proprio perché non ce n’è più bisogno. La Madre sa già tutto ed è come se tacitamente ci prevenisse donando requie ad affaticati e oppressi. Anche per questo, a suo tempo, il vescovo di Tarbes, da cui Lourdes dipendeva nell’Ottocento, si premurò di acquistare in denaro sonante tutta l’area su cui oggi sorge il santuario e di recintarla. Non fu facile, perché aveva di fronte il governo anticlericale della Terza Repubblica, che fece realmente di tutto per espropriare o almeno mettere i bastoni tra le ruote a quella «superstizione» che, secondo i fanatici laicisti al potere, metteva le folle alla mercè dei preti. Ma fu un atto di una lungimiranza sovrumana, visto che permise a Lourdes di essere quel che è oggi: il pellegrinaggio mariano più frequentato del mondo, con un afflusso che supera di gran lunga quello dei musulmani alla Mecca.
Lourdes è, infatti, pressoché un’unica bottega di chincaglieria religiosa, un susseguirsi di negozi, bancarelle, alberghi e trattorie; tranne nell’area della Grotta.
In quest’ultima, a differenza di altri luoghi della fede, solo silenzio e preghiera.
Ebbene, proprio questo spazio sacro e consacrato vedrà l’ultimo dell’anno una cacofonia di canzonette rockettare sparate a tutti decibel.
Con gioco di parole da centro sociale, l’«evento» è stato battezzato «rêve party» (rêve, sogno). Titolo ufficiale: «3 D», cioè Discothèque de Dieu. Naturalmente ci sarà la messa acclusa e si farà casino (pronuncia francese, mi raccomando) fino alle sei del primo gennaio, festa di Maria Madre della Chiesa. «Per proporre un’alternativa cristiana ai giovani» che sennò andrebbero al veglione, dice l’organizzazione. Con tanto di approvazione arcivescovile.
Magari si tratterà di «rock cristiano», cioè quella cosa bizzarra che consiste nell’accoppiare ritmi ossessivi a testi che parlano bene di Gesù. Cosa vuol essere, un dispettuccio a papa Ratzinger che, com’è noto, la pensa in tutt’altro modo riguardo alla musica? Non ci stupirebbe, dal momento che le maggiori resistenze ai tentativi restauratori in materia liturgica (e non solo) vengono proprio dall’episcopato francese.
Comunque, fossero solo beghe di preti non ci sarebbe niente da dire.
Il fatto è che Lourdes appartiene al popolo cristiano; anzi, alla sua parte più dolente e indifesa. Non è il giocattolo del presule momentaneamente in carica. Dunque, se proprio non si voleva dare retta a Marius Schneider (il maggior musicologo di tutti i tempi, contrarissimo all’uso della ritmica nel sacro), si poteva almeno farsi interpreti dei sentimenti di chi ha in Lourdes l’ultima speranza, e non solo di quei «giovani» francesi che vogliono risparmiare sul biglietto del veglione.

Il Giornale . 307 del 2006-12-29


2)


Videoarte nel cuore del Duomo


di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

A Milano la Rinascente non ha venduto più le statuette del presepe perché non sono trendy. E va bene: il conformismo laicista vuole la sua parte, altrimenti che dittatura sarebbe? Ma, se volete provare qualcosa di veramente forte, già che siete in zona, attraversate la strada, entrate in Duomo e scendete nella cripta sotto l’altare maggiore. A pochi metri dalle reliquie di San Carlo Borromeo, potrete entrare in una stanzetta accuratamente foderata di nero e completamente buia. Sul fondo, troverete uno schermo coperto al 90% da una macchia rettangolare nera. Il restante 10% è una cornice che corre attorno al rettangolo oscurato ed è formata da quel che resta delle immagini della passione di Nostro Signore Gesù Cristo, tratte dal film di Zeffirelli.
Si tratta di un’opera d’arte. Si intitola Via Dolorosa ed è lì dal 2005, gentile dono della Provincia di Milano alla diocesi ambrosiana. Il suo autore è Mark Wallinger, inglese.
Per chi lo volesse, c’è anche un catalogo: quindici euro per 77 pagine, di cui 26, data la conformazione dell’opera, sono praticamente nere. Poco loquaci, ma oneste.
Qui non si tratta di mettere in discussione un genere espressivo che si chiama videoarte. E, vogliamo essere generosi, neanche di opinare sulla qualità del lavoro di Wallinger.
Qui bisogna riflettere sulle intenzioni di chi ha voluto quest’opera nel cuore del Duomo di Milano. E sono intenzioni piuttosto spericolate, come riconosce nel catalogo l’assessore provinciale alla Cultura: «Mai infatti fino ad ora alcuna cattedrale d’Europa ha ospitato stabilmente un’opera di videoarte, fino a darle uno spazio totalmente dedicato, addirittura adiacente alle reliquie del grande pastore Carlo Borromeo».
Ma il bello viene nell’intervento conclusivo del suddetto catalogo, intitolato «Previsioni del tempo nel sistema dell’arte», dove si legge: «Se entriamo nello spazio della cattedrale ci imbattiamo in una apparentemente chiara direzionalità, che prende vita sia dall’assetto delle navate – orientate verso il presbiterio – sia dalla compagnia iconografica della luce. Vera protagonista dello spazio, essa illumina sì dei filtri colorati ma non riesce a darci l’intera narratività che corrisponde a un preciso progetto pensato – per così dire – sulla “pagina” del Duomo». Traduzione: i costruttori del Duomo, essendo dei poveri uomini del Medioevo, non erano intelligenti come noi moderni. Ora gli spieghiamo noi come si fa.
Perciò si prosegue così: «È giusto quindi che sotto la cattedrale si ritrovino delle linee parallele che riproducano all’infinito, attraverso un incontro, quanto sta sopra. Ma si tratta di una narratività tutta “al negativo”, dove prevale l’oscurità rispetto all’immagine (…)».
Non a caso, 26 pagine del catalogo sono nere.
E che cosa produce tutto ciò? Questo: «Rimandando, anche senza visione, ad un fatto conosciuto, sembra insistere sulla natura dell’ossimoro cristiano – fatto di cronaca locale (Gesù di Nazareth) e senso metastorico (Cristo della fede)».
Traduzione: se pensavate che a smitizzare il cristianesimo e separare il Cristo della fede dal Cristo della storia fossero in grado solo gli allievi di Bultmann, ve lo facciamo vedere di che cosa siamo capaci qui a Milano.
E ora siamo arrivati allo scopo degli scopi perché, per soli quindici euro, il catalogo ci spiega che l’opera di Wallinger: «Ci riporta all’interno di una sorta di “nube” dell’inconoscenza, dove veniamo caricati di responsabilità su quello che avremmo voluto veramente intravedere».
E, vi chiederete, per arrivare dove?
È sempre il catalogo a rispondere: «Sembra di sentire le richieste dell’apostolo Tommaso agli Undici, dopo aver mancato l’appuntamento col Maestro: “Se non metto le dita nel posto dei chiodi, non crederò…”. E Mark sembra dire: “Proprio perché non riesci a mettere le tue dita nel posto dei chiodi, proprio perché hai una visione obliterata al 90% sei finalmente di fronte alla tua libera scelta: quella di credere oppure no”».
Dunque, se qualcuno volesse decidere se credere oppure no immergendosi in uno stato di «inconoscenza» sappia che ha la possibilità di farlo nel Duomo di Milano.
Ascoltate noi, riattraversate la strada e tornate alla Rinascente. E, se trovate una statuetta del presepe in un fondo di magazzino, attraversate di nuovo la strada e deponetela in Duomo. Se non siete artisti alla moda, non potete fare di più, ma il Buon Dio gradirà di sicuro.


Il Giornale n. 306 del 2006-12-28 pagina 7