Il bisogno del volto del padre

Intervista a Claudio Risè (17 febbraio 2005) 
                                                       
di Marina Corradi


Il padre in provetta, il padre per sempre sconosciuto ridotto al seme anonimo della fecondazione eterologa, chi e cosa diventa nella storia del figlio in quel modo generato? Mentre i sostenitori dei referendum combattono perché anche questo tipo di paternità sia possibile, in nome del più ampio “diritto al figlio” da parte delle coppie sterili, la estromissione del padre non lascia indifferente la psicoanalisi. Ha scritto il professor Claudio Risè: «Il padre serve semplicemente a consentire che ogni cosa prenda il suo posto. A partire dal posto del padre si definisce l’ordine simbolico in cui si dispone il resto della famiglia. Il padre è figura del limite – “di qui non si può andare” – e di direzione, di senso – nel significato , appunto, di orientamento: “cerca la tua strada, che io comincio a proporti”. Limite e spinta direzionale che derivano anche dal fatto che ci ha messo al mondo lui, con quel primo getto ben centrato: la nostra storia è cominciata lì. E’ quindi lui la prima figura che ci garantisce un’appartenenza».

Troppo disinvolto dunque, professore, e forse anche pericoloso questo accantonamento del padre, ridotto a strumento anonimo, che con la battaglia per la eterologa si vorrebbe far passare?
«Credo che i sostenitori della fecondazione eterologa dovrebbero tornare a rileggersi il mito di Edipo, e Freud, e la psicoanalisi e la filosofia contemporanea, compreso Foucault e Lacan, che facevano poggiare sul “no” del padre tutto il sistema normativo e del diritto. Togliere di mezzo il padre significa togliere di mezzo il punto di riferimento simbolico dell’organizzazione normativa di tutta la storia dell’Occidente. Fino a oggi nella vita dell’individuo e nell’esperienza collettiva l’incontro con il principio d’ordine, con ciò che dà la propria collocazione nel mondo, è avvenuta  nella relazione col padre. Ciò discende d’altra parte dalla nostra visione religiosa, che è quella della tradizione ebraico-cristiana».


Sul valore simbolico fondante della figura paterna molti, probabilmente, sarebbero d’accordo, ma venendo alla concretezza della legge 40 forse obietterebbero: d’accordo, con la fecondazione eterologa il padre è anonimo, tuttavia al momento della nascita del figlio il padre non biologico assume il suo ruolo paterno. Non è lo stesso?
«Il padre è figura dell’origine, e per questo deve avere un nome e un volto. Se noi non sappiamo quale è la nostra origine è molto difficile che riusciamo a individuare un destino. Possiamo sapere dove andiamo quando sappiamo da dove veniamo: la conoscenza delle origini è necessaria agli uomini. Diverso è il caso del padre adottivo, che raccoglie tutti gli aspetti simbolici della paternità. Il bambino sa che aveva un padre naturale, ma le radici affettive sulle quali crescere sono quelle che gli vengono presentate da chi lo ha accolto, con un gesto di amore e di ospitalità, e non per soddisfare un proprio bisogno. Nel caso della fecondazione eterologa, tuttavia, vorrei sottolineare, non è nemmeno detto che il padre sia concretamente presente una volta nato il bambino. Infatti in molti Paesi in cui questa pratica è permessa si prescinde del tutto dalla presenza di un padre, e la procreazione artificiale è aperta alle madri singles, o lesbiche, o alle coppie omosessuali . In questi casi il padre non c’è, semplicemente. Esistono siti Internet come
www.mannotincluded.com, cioè “uomo non-compreso”, che alle clienti consentono di scegliere le caratteristiche somatiche del donatore anonimo: gruppo etnico, altezza, colore degli occhi. Una possibilità che corrisponde pienamente all’ideologia del “father disposable”, diffusasi in questi anni: il padre “usa e getta”, che serve e poi si butta via».
«Ora – prosegue Risè – ci sono Paesi come gli Stati Uniti che hanno ormai un’esperienza assai più lunga della nostra di come funziona questo trittico aborto-divorzio-procreazione artificiale. Si è prodotta una grande quantità di malessere affettivo e psichico, e quindi anche di costi economici rilevanti per la collettività. Il bilancio dei costi sociali di questi decenni di liberismo familiare non è estraneo, ritengo, al successo elettorale di Bush, che è stato votato da molti elettori, pure non favorevoli alla sua politica internazionale, in adesione alla sua svolta in difesa della famiglia».


Un voto di reazione, dunque, alla crisi dell’autorità paterna?
 «Sì, i costi umani delle politiche di questi trent’anni negli Usa sono inequivocabili, e ampiamente documentati. Come spiego nel mio saggio “Il padre, assente inaccettabile” ( Edizioni San Paolo, ndr) , secondo i dati dell’ultimo censimento americano l’85% dei giovani in carcere è cresciuto senza un padre, come il 70% dei ragazzi devianti e il 63% dei giovani suicidi. Il 90% degli homeless, le persone senza fissa dimora, è pure cresciuta in famiglie senza un padre. Così, secondo il ministero della Giustizia americano, il 72% degli omicidi e il 60% degli stupratori viene da case in cui era assente il padre. I ragazzi senza padre esprimono comportamenti violenti a scuola in misura 11 volte maggiore rispetto ai coetanei. E il 69% dei bambini abusati sessualmente proviene da case in cui il padre, ancora una volta, manca. Dati che non vanno letti rigidamente, in base ad un’inesistente legge di causa-effetto, ma come prova di un altissimo fattore di rischio».


L’”assente inaccettabile”. Dunque, sembra paradossale e in ritardo la pretesa di rendere questo padre addirittura, qualora lo si voglia, anonimo.
«La questione della eterologa è discussa ormai anche in Gran Bretagna, come sappiamo il Paese che ha dato origine alla ricerca e alla legislazione sulla procreazione artificiale in Occidente. E proprio qui fa discutere una nuova legge governativa che chiede che il donatore sia sempre noto. La commissione di bioetica inglese ha dato parere favorevole, perché nessuno, ha dichiarato, può sottrarre al figlio il nome del padre».


L’eliminazione dell’anonimato, introducendo la possibilità di dovere riconoscere questi figli, e i loro diritti alla successione, cancellerebbe l’eterologa.
«Certo, ma la riconoscibilità del donatore va a toccare il punto centrale della questione. Il padre deve esserci. Se si sa chi è, c’è, in un modo sia pure stravagante, discutibile, ma c’è, nominalmente definito. E’ di nuovo possibile un teatro delle origini».


Cosa accade nelle famiglie in cui dopo una fecondazione eterologa il padre è sconosciuto ?
«Il padre sconosciuto è un fantasma attorno a cui si animano le insicurezze e i rancori familiari all’interno della coppia, e dei figli. E’ una mina vagante. Un conto è quando il padre assente è il risultato di una vicenda esistenziale, e un bambino abbandonato ha modo di ricostruire il suo passato nella rassicurazione affettiva fornita dalla famiglia adottiva. Siamo sempre nella vita, nei corpi, negli affetti, e tutto questo può essere elaborato psicologicamente. In questo caso invece, quando la vita è messa in provetta, i corpi e gli affetti diventano invisibili, il silenzio è assoluto, la vita in formazione è separata dal vivente, e quindi la sofferenza successiva sarà molto più forte».


Ma cosa c’è al fondo di questa progressiva espulsione del padre dalla società occidentale?
«La provetta è solo ultima tappa di un lungo processo. Il primo è stato il divorzio: oggi negli Usa oggi un matrimonio su due si conclude con un divorzio, nel 75% dei casi chiesto dalla moglie, e nel 92% dei casi la casa e i figli sono affidati alla moglie. Il padre appare letteralmente buttato fuori, espulso. L’altro punto che mi colpisce molto è la sua emarginazione nell’aborto. Nella 194, il padre non ha alcuna voce in alcun ambito, né giudiziario né consultivo. E’ tagliato fuori fin dall’inizio della procreazione, e questo ha provocato alcune tragedie finite sui giornali, ma determina molto più frequenti drammi silenziosi».


E la sterilità maschile, che lei definisce “somatizzazione della paura di procreare”, giunta a sfiorare il 40% dei maschi occidentali?
«Sintomo anche questa della insicurezza del proprio ruolo, in un sistema legislativo in cui il padre rischia di essere espulso con un divorzio, di non vedere o quasi più i suoi figli, e non ha voce in capitolo su un’eventuale gravidanza. Non è un quadro che promuova la pulsione/desiderio a riprodursi».


Ma, alle radici di tutto questo, cosa c’è stato?
«Il processo di secolarizzazione, cioè la separazione fra uomo e Dio, e la conseguente negazione del Padre celeste. Il padre terreno fonda la sua funzione simbolica e affettiva sulla relazione con l’archetipo del Padre celeste, che dall’Illuminismo in poi è stato progressivamente negato, fino alla “morte di Dio” del primo Novecento. Ora, sappiamo che a livello popolare queste elucubrazioni filosofiche non hanno vinto, e che soprattutto negli ultimi decenni c’è stata una forte reazione religiosa. Tuttavia la negazione del padre continua a ispirare le legislazioni dei paesi occidentali. La secolarizzazione, rifiutata dal sentire popolare, è ampiamente condivisa nella cultura delle classi dominanti, e la sacralità della vita umana e del padre è costantemente ignorata».


Il padre, lei spiega nel suo libro, è lo spirito d’iniziativa, là dove la madre nutre e soddisfa. Dove il padre è in crisi decade la vitalità dei popoli. Se l’America comincia a reagire, l’Europa pare ancora adagiata nel soddisfacimento dei bisogni individualistici. Quali prospettive intravede?
«L’America ha verificato prima il disastro, e ora comincia a correre ai ripari. Crogiolo di razze, memore ancora della antica spinta pionieristica, è un mondo più primitivo e dinamico, e mantiene la capacità di adesione all’istinto vitale. L’Europa dispone di  ricchezze più consolidate, è più intellettualizzata, più lontana dalla sensibilità per la vita. Ha meno iniziativa, è meno veloce, meno audace, anche negli interventi per difendere se stessa. Tuttavia questa iniziativa in Gran Bretagna per restituire il nome ai padri anonimi delle provette è estremamente importante. Io credo al significato simbolico delle parole, e questo è, penso, l’inizio di una presa di coscienza. Si è fatto un  grande errore, e ora forse si comincia a comprendere la necessità di tornare a dare un ordine alle cose, “nel nome del padre”».


http://www.impegnoreferendum.it/Articoli/Interviste/20050217.htm