Il Papa: l’umanità trovi la forza di combattere il terrorismo

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Nel messaggio pasquale, Giovanni Paolo II invita gli uomini a fare il loro dovere nella resistenza contro il terrorismo. Prendiamo atto che c’è ed è un flagello, ma che può essere affrontato e vinto. Con la preghiera, anzitutto, e con la fedeltà al proprio dovere quotidiano.

«In questo giorno del tuo trionfo sulla morte, l’umanità trovi in Te, o Signore, il coraggio di opporsi in modo solidale al tanti mali che l’affliggono. Trovi in particolare la forza di far fronte al disumano, e purtroppo dilagante, fenomeno del terrorismo, che nega la vita e rende torbida e insicura l’esistenza quotidiana di tanta gente laboriosa e pacifica. La tua sapienza illumini gli uomini di buona volontà nel doveroso impegno contro questo flagello».


Il Santo Padre ha voluto ricordare il fenomeno del terrorismo che incombe sulla vita quotidiana di tutti gli uomini, praticamente ovunque nel mondo, in occasione del Messaggio per la Pasqua del 2004.


La strage di Madrid, l’11 marzo 2004, l’assassinio dell’eroe italiano Fabrizio Quattrocchi in Iraq, hanno portato il terrorismo e la sua scia di morte molto vicino a noi, nel cuore dell’Europa. Ma non è qui soltanto che si combatte questa guerra mondiale, la terza o la quarta dopo la “guerra fredda” combattuta dal 1945 al 1989, i media di giovedì 22 aprile annunciavano in sordina, o non annunciavano affatto, che il giorno prima un attentato suicida a Riad, la capitale dell’Arabia Saudita, (rivendicato dalle Brigate di Al Haramain, legate ad al Qaida) aveva distrutto il palazzo a sette piani del servizi di sicurezza, provocando quattro morti e 148 feriti e infliggendo un duro colpo alla sicurezza di quel Paese, dove si sta svolgendo una feroce battaglia politica fra due diverse anime del mondo islamico e dove è in corso «una strisciante lotta per la successione a re Fahad», dopo l’ictus che lo ha colpito nel 1994. Bisogna tenere presente, come ricorda Il Foglio del 22 aprile, che l’Arabia Saudita è «il brodo di coltura da cui è nata al Qaida, il cui leader, Osama bin Laden, è stato per anni apertamente sponsorizzato e finanziato in Afghanistan dal principe Turki bin Feisal, comandante dei Servizi Segreti, che fu improvvisamente e misteriosamente rimosso dall’incarico nel 2001, dieci giorni prima dell’attentato dell’11 settembre, e che attualmente è ambasciatore a Londra». Il 26 aprile, un terrorista confessava alla TV della Giordania di aver ricevuto da al Qaida l’ordine e i soldi (170mila dollari) per un attentato chimico da compiersi ad Amman, contro l’ambasciata americana e il palazzo dei servizi di sicurezza; secondo gli osservatori, l’attacco chimico avrebbe potuto provocare 80mila morti. Stiamo prendendo atto, forse, che il terrorismo sta per arrivare anche nella nostra vita quotidiana, ma dobbiamo renderci conto che la guerra nella quale siamo coinvolti si combatte anche all’interno dell’islam, come, fra l’altro, avevano già dimostrato gli attentati di Istanbul.


Il flagello del terrorismo, dunque, sembra tale da inquietare e da far cambiare le abitudini del cittadini, se dobbiamo accettare le indicazioni statistiche che, anche a questo flagello, attribuiscono il calo di presenza nella metropolitana milanese nei primi mesi del 2004. Un flagello che comunque impaurisce e fa sentire tutta la pressione del terrore, sperimentato nei paesi totalitari, nelle guerre civili, nella pressione esercitata in Europa dai movimenti del terrorismo ideologico degli anni 1970 e 1980. Una pressione che sembra vincente, se dobbiamo guardare a quanto è accaduto in Spagna nelle elezioni dopo l’attentato dell’11 marzo, vinte da chi ha di fatto accettato il ricatto terroristico, smantellando la presenza militare spagnola in Iraq.


Cosa possiamo e dobbiamo fare?


Anzitutto non illudiamoci su soluzioni veloci e indolori. Il male è profondo e diffuso, e gode di tante indubbie complicità. Questo odio misterioso che muove le mani assassine non è figlio dell’ingiustizia, anche se trae alimento dalle ingiustizie. È lo stesso odio che ha promosso il processo di espulsione della religione cattolica dalia vita pubblica delle nazioni europee dopo la Rivoluzione francese, che ha spinto gli Stati comunisti a perseguitare i cristiani e a ridurli al silenzio. Questo odio non è scomparso con la caduta del Muro di Berlino, ha semplicemente trovato nuovi pretesti. La lunga guerra del Balcani (1991-2001), con le pulizie etniche che hanno seminato tanto odio fra le popolazioni, odio che periodicamente riemerge quando sembrava essere stato rimosso, l’odio spaventoso che accompagna le guerre tribali dell’Africa, l’assenza di libertà religiosa in Cina, Vietnam, anche in India, la persecuzione dei cristiani nel corso del XX secolo e che continua con il sacrificio di decine di missionari, tutte queste situazioni ci fanno capire che l’odio è diffuso e generalizzato e non è patrimonio esclusivo di nessuno.


Tuttavia, come e già accaduto nei secoli passati, per esempio con “la lotta di classe per liberare gli oppressi dal giogo del padroni” (quante volte abbiamo sentito ripetere e gridare questa frase), anche oggi l’odio sembra aver individuato un obiettivo, la civiltà occidentale, e sembra avere un soggetto protagonista, il terrorismo ispirato al radicalismo islamico.


Il Papa, nello stesso Messaggio, non dimentica di ricordare alle istituzioni, a coloro che detengono il potere nelle nazioni, di fare tutto il loro dovere: «L’opera delle istituzioni nazionali e internazionali affretti il superamento delle presenti difficoltà e favorisca il progresso verso un’organizzazione più ordinata e pacifica del mondo».


Bisogna ringraziare la Provvidenza che oggi attribuisce ancora una superiorità tecnologica e militare a Stati che sono abituati a risolvere i problemi politici rispettando alcuni principi universali di diritto naturale (non tutti i principi e non sempre, purtroppo, ma certamente in misura superiore a quei Paesi che non sono fondati sul rispetto del diritti umani e sulla centralità della persona, immagine di Dio). Se cosi non fosse, le tragedie dell’Africa (proprio quest’anno ricordiamo i dieci anni del massacro del Ruanda, dove, nel 1994, in cento giorni furono torturate e uccise oltre ottocentomila persone in scontri tribali), della Somalia, ma anche dell’Iraq e di molti paesi del Medio Oriente, diventerebbero tragedie abituali anche in Occidente.


Tuttavia, l’odio che incombe sul mondo non può essere fermato soltanto da iniziative di tipo politico. L’odio che abbiamo di fronte pretende di più. Giovanni Paolo II ha auspicato, nello stesso Messaggio, che «la tentazione della vendetta ceda il passo al coraggio del perdono; la cultura della vita e dell’amore renda vana la logica della morte», affinché «la fiducia torni a dar respiro alla vita dei popoli». Questo non significa che chi ha la responsabilità del potere non debba usare tutti i mezzi politici e militari per cercare di realizzare la giustizia; significa però che il cattolico è chiamato ad andare oltre, a vedere anche i conflitti nella dimensione dell’eternità e così a prendere in mano il proprio cuore, imparando a perdonare. E questo significa riscoprire l’importanza della preghiera, privata e pubblica, perché il perdono può diventare la soluzione, anche politica, delle guerre fratricide che hanno insanguinato la fine del XX secolo e l’inizio del XXI, soltanto se viene alimentato dalla preghiera. Infatti, «questa razza d demoni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno» (Mt 17,21).


Bibliografia
Il Messaggio pasquale del Santo Padre Giovanni Paolo II si trova in L’Osservatore Romano del 13-14 aprile 2004. In tema di terrorismo è importante anche l’intervista al card. Camillo Ruini apparsa sul Corriere della Sera del 28 marzo 2004. Offrono importanti elementi di riflessione gli articoli Guerra nell’Islam di Massimo Introvigne (il Giornale, 24 aprile 2004) e Nel segno del suicidio di Riccardo Cascioli (il Timone, n. 31, marzo 2004).


di Marco Invernizzi © il Timone n. 34, giugno 2004.