Il Novecento, l’ateismo assoluto e le sue conseguenze

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BILANCIO DEL CULTO DELL’ATEISMO

Perché il Papa parla delle “più grandi crudeltà e violazioni della giustizia”…

di Francesco Agnoli

L’enciclica del Papa sulla speranza e sulle malvagità dell’ateismo, è destinata sicuramente a fare rumore. Eppure, senza bisogno di un Papa, l’avrebbe potuta scrivere, almeno in alcune sue parti, qualsiasi storico onesto e scrupoloso. Perché il concetto di fondo, e cioè la nascita delle più grandi tragedie della storia dall’ateismo è un dato di fatto difficilmente smentibile. L’ateismo di cui parla il Papa, non è certo l’ateismo “tragico”, come lo avrebbe definito Augusto Del Noce, proprio ad esempio di tanti uomini dell’Ottocento, da Baudelaire a Verlaine, passando per Huysmans, Oscar Wilde, Giovanni Pascoli, Eugenio Montale, Ungaretti eccetera. Questo “ateismo”, ancora esistente, come è ovvio, è in realtà la ricerca di un senso, la volontà di “capire” e di penetrare nelle profondità della vita, senza riuscirci, o forse, meglio, senza riuscirci interamente. Nasce da domande fondamentali, impossibili da evadere, che potevano magari rimanere senza risposta, ma che non cessavano comunque di “torturare” il cuore, come dimostrano le crisi religiose di tutti questi personaggi, alcuni dei quali approdati poi a una fede forte e convinta.
Questi grandi autori che ho citato rappresentano la crisi delle certezze religiose di un tempo, ma non la sostituzione di esse con una ideologia, atea nell’apparenza, perché negatrice di Dio, ma religiosa nei modi e nelle manifestazioni. L’ateismo di cui parla il Papa e di cui lo storico dovrebbe analizzare i risultati, come ha fatto ad esempio recentemente Michael Burleigh nel suo “In nome di Dio” (Rizzoli), è l’ateismo assoluto che nega Dio e che cerca di organizzare il mondo senza di lui, costruendo, come possibile, già qui il paradiso sulla terra. E’ l’ateismo, per intenderci, del comunismo e del nazismo e di tutte le ideologie atee nate a partire dal Settecento, cioè dalla crisi della fede. L’ateismo, insomma, che assume connotati tali da diventare una vera e propria religione civile, secolare, con i suoi dogmi e la sua ortodossia, una religione di salvezza, terrena e non soprannaturale. Da questo sistema di pensiero nascono i più grandi dittatori della storia: Lenin, Stalin, Hitler, Mussolini, le cui radici sono tutte nell’ateismo socialista da lui rivendicato per moltissimi anni, Pol Pot, Mao, Ceausescu, Hoxha, Tito, Milosevic…
E’ innegabile: il Novecento, anzitutto, è il secolo dell’ateismo assoluto, ed è, non a caso, il secolo degli stermini di massa, delle guerre mondiali, e delle più grandi catastrofi umane della storia.
L’ateismo così come si viene a configurare tra Ottocento e Novecento è, a ben vedere, una forma di religiosità immanente, che ha generato uno a uno tutti gli ingredienti delle dittature totalitarie: il razzismo biologico (religione della razza), il nazionalismo (religione della patria), il social-darwinismo, l’eugenetica, e il social-comunismo. Prendete questi ingredienti – accomunati tutti dalla negazione più o meno esplicita di un Dio trascendente, dell’uomo come sua creatura, dotata di un’anima immortale, e del peccato originale come limite dell’uomo – mescolateli e avrete le ideologie di morte del secolo appena concluso. Tutte incredibilmente simili. Cambiano solamente i dosaggi: un po’ meno socialismo e un po’ più razzismo ed eugenetica nel nazionalsocialismo, analoghe dosi di nazionalismo e un po’ meno eugenetica, nel comunismo, ovunque la politica e lo stato al di sopra di tutto, al posto di Dio. Sempre, a fondamento, un’idea, la negazione della Caduta originaria e la mondanizzazione della Redenzione: l’uomo può fare senza Dio, per costruire un mondo razzialmente puro, economicamente giusto, eugeneticamente sano, socialmente equilibrato… un mondo perfetto, divino, utopico, paradisiaco.
Si vede bene, insomma, che di una fede si tratta: una fede tanto più intransigente e totalitaria quanto più concentrata sul qui e ora, e cioè esigente nell’immediato. Non c’è spazio per il perdono, dinanzi all’ingiustizia; né per la rassegnazione e la sopportazione, in quanto questi valori religiosi sottintendono una giustizia superiore, divina: il regno della giustizia è di questo mondo, e il potere si assume il compito di realizzarla, interamente. Così la gramigna non verrà separata dal buon grano, come nella parabola evangelica, alla fine dei tempi, come in ogni concezione di una giustizia trascendente, ma subito, appena possibile, dal dittatore di turno.
L’uomo, per fare un altro riferimento a un dogma religioso, non solo cattolico, non è macchiato dal peccato originale, che giustifica l’esistenza dell’imperfezione, dell’ingiustizia, e quindi anche della necessità della misericordia, sulla terra, ma è chiamato alla perfezione assoluta nell’aldiquà, e può raggiungerla, a patto che l’ideologia incaricata di farlo venga realizzata politicamente, economicamente, socialmente, a qualsiasi costo. Se il paradiso è a portata di mano, infatti, non là, ma qua, sarebbe delittuoso non realizzarlo. Se il compimento del desiderio dell’uomo di Bene e di Giustizia è attuabile solo e soltanto, in toto, in questa vita, è da pazzi non perseguirlo con ogni mezzo.
L’uomo, le masse ideologizzate e secolarizzate del Novecento chiedono dunque alla politica, al partito, allo stato, al dittatore, ciò che chiedevano, un tempo, a Dio, anzi di più: tutto, ma subito.
La creazione del mondo perfetto, dell’“uomo nuovo”, per le ideologie, dunque, urge, incalza, preme: necessita al più presto l’eliminazione, tramite ghigliottine, gulag, lager e polizie segrete, Ovra, Gestapo, Ceka e Kgb, di coloro che ostano, che impediscono, che non comprendono, che complottano, che conducono la “controrivoluzione”, che, secondo l’articolo 58 del Codice penale sovietico, riedizione della “legge dei sospetti” di Danton, sono solo sospettati di farlo…: in una parola di quanti meritano l’inferno, anch’esso, come il paradiso, trasferito paradossalmente nell’aldiquà. E’ per questo, per fare un esempio, che la guerra – o la violenza, che è lo stesso – sempre considerata un male, per quanto talora inevitabile (guerra di difesa), diviene un bene in se stessa: il vento che spazza lo stagno, di Hegel, la guerra che porrà fine alle guerre, per alcuni interventisti italiani della Prima guerra, “la sola igiene del mondo” per i futuristi, una esigenza di natura, per i socialdarwinisti, uno splendido cozzare di popoli, per i nazionalisti, la fine del passato oscuro e l’inizio di una nuova era, per tutti i rivoluzionari, da Mussolini a Mao.
Sempre per lo stesso motivo, ogni ideologia si afferma come un “mondo nuovo”, un “ordine nuovo”, un’era diversa, che data la sua origine non dall’evento salvifico della nascita di Cristo, ma, come avviene dalla Rivoluzione francese in poi, passando per il fascismo e il nazismo, dall’ascesa al potere, essa sì salvifica, dell’ideologia ateistica di turno. Al culmine del delirio, sotto l’ateissimo regime comunista di Pol Pot, causa di due milioni di morti su sette milioni di abitanti, in poco più di tre anni (1975- 1979), si arriverà a ordinare per legge non solo il rogo dei libri del passato, ma financo delle fotografie dei privati, affinché fosse cancellato anche il ricordo fotografico di come era il mondo prima dell’avvento del regime comunista dell’Angkar.
In questo senso, evidentemente, la religiosità ateistica, profondamente secolare, temporale, non ha nulla a che vedere con quella autentica, che non è essenzialmente azione ma contemplazione; non manipolazione ma rispetto; non insofferenza e distruzione dei limiti ma loro riconoscimento e accettazione; non trasformazione della società, tramite una alchimistica tecnica politica, ma tramite la conversione dei cuori; non tensione alla eliminazione del male e del peccato, in generale, ma soluzione di un particolare male storico, o individuale. Ma come la religiosità trascendente è totale, nel senso che orienta tutto l’uomo, la sua anima, le sue azioni, a Dio, rimettendo ogni cosa terrena al suo posto, dalla ricchezza, al potere, al dolore, dando a ognuna il suo peso, assolutamente relativo, così la religiosità immanente è tentativamente totalitaria: avendo negato a priori l’essenza dell’uomo, l’anima, e Dio, identifica tutto l’esistente in ciò che è materiale e terreno e quindi coerentemente ritiene come soluzione di tutto la sola politica, che tutto controlla: la politica totalitaria dei regimi totalitari. Ha scritto giustamente Eric Voegelin: “Tutti i movimenti gnostici (tra cui anche comunismo e nazismo, ndr) mirano a recidere i legami dell’essere con la sua origine, cioè con l’essere divino e trascendente, per proporre un ordine dell’essere immanente al mondo, la cui perfezione sarebbe a portata dell’azione umana. Si tratta di modificare la struttura del mondo (avvertita come inadeguata) in maniera così radicale che da quella modifica emerga un mondo nuovo, di piena soddisfazione… Il mondo tuttavia resta quale a noi è dato e non rientra nelle facoltà umane la possibilità di cambiarne la struttura” (“Il mito del mondo nuovo”).
Similmente Augusto del Noce affermava: “Per varie che possano essere le forme rivoluzionarie… il loro lato comune è la correlazione tra l’elevazione della politica a religione e la negazione del soprannaturale… alla liberazione religiosa si sostituisce la liberazione politica… il problema del male viene trasposto dal piano psicologico e teologico a quello politico e sociologico: i dogmi della Caduta e della Redenzione vengono trasferiti sul piano dell’esperienza storica” (“Il problema dell’ateismo”). Ma analizziamo brevemente il nazismo, che delle ideologie totalitarie può essere considerato, insieme al comunismo, il vertice e il compimento. Scomponiamo brevemente i fattori che lo hanno contraddistinto. Anzitutto il nazionalismo, responsabile anche dello scoppio della Prima guerra mondiale, che con i suoi dieci milioni di morti, venti milioni di feriti, mutilati e nevrotici, e sette milioni di prigionieri e dispersi, rappresenta la più grande tragedia della storia sino a quel momento, senza alcuna possibilità di confronto.
Ebbene il nazionalismo è un figlio della Rivoluzione francese, antitetico alla concezione cattolica, e cioè universale, che aveva caratterizzato l’Europa dell’Antico Regime. Nel Sacro Romano Impero, infatti, popoli diversi convivevano insieme, con lingue, storie e costumi differenti, in nome della comunità di ideali religiosi: cattolico a ogni popolo e ad ogni razza.
E’ a tutti noto che la Prima guerra mondiale nacque dalle frizioni tra i nazionalismi tedesco, inglese, serbo, russo, inglese…
Mi limiterò, per brevità, a qualche cenno al nazionalismo italiano, che fu interpretato da personaggi assolutamente nemici della chiesa, e di ogni religiosità, come Francesco Crispi, alla fine dell’Ottocento, e Benito Mussolini, anticlericale anarchico e socialista, ai primi del Novecento, e poi duce del fascismo, di quella concezione dello stato, cioè, per la quale “tutto è nello stato e nulla di umano e di spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello stato” (evidente parodia laica del “Credo”). Gli interventisti, contro cui Benedetto XV si battè in ogni modo, prima con la diplomazia e poi denunciando “l’inutile strage”, furono tutti uomini delle élites, avversi alla visione cattolica dominante nel paese: il già citato Mussolini, Gabriele D’Annunzio, il socialista nazionalisteggiante Cesare Battisti, i nazionalisti Giovanni Papini ed Enrico Corradini, i futuristi di Marinetti, che predicavano lo “svaticanamento” d’Italia… Molti di questi, esattamente come nel resto d’Europa, utilizzarono il socialdarwinismo materialista per sacralizzare la selezione naturale e la lotta per la vita come legge della storia. Scrive Hagen Schulze, nel suo “Aquile e leoni. Stato e nazione in Europa”: “Alla base di tale concezione c’era la legge della natura, secondo la quale la lotta era di tutti contro tutti, la pace una illusione dei deboli, nel migliore dei casi un momento di respiro nel conflitto perenne per l’esistenza; a sopravvivere sono destinati solo gli esseri moralmente e fisicamente superiori. Per tutti i raggruppamenti politici e sociali valeva l’assioma che l’umanità non aveva come scopo la pace; ciò era vero per il concetto marxista (cioè ateo, ndr) della lotta di classe, come per l’idea nazional-popolare di un eterno antagonismo tra popoli e per la nuova ideologia emergente del conflitto tra le razze… politica vuol dire guerra, e la guerra è necessaria per bruciare i mali dell’epoca… non si tratta di una visione estremistica, ma è quanto si ricava dalla lettura di giornali e periodici, sia seri che a larga diffusione, pubblicati nell’arco di tempo tra il 1880 e il 1914 e che offrono al moderno osservatore una fonte inesauribile di dati relativi alla struttura fondamentalmente darwinistico-sociale del nazionalismo popolare del tempo nell’area anglosassone, in Francia, in Germania o in Italia. Quando, durante la guerra contro i boeri il maresciallo britannico Roberts dichiarava che la lotta spietata tra le nazioni non era altro che una necessità biologica… ciò non era che un’eco di quanto scrivevano numerosi altri autori del tempo”, spesso biologi darwinisti prestati alla politica, come ha ben raccontato il celebre paleontologo evoluzionista Stephen Jay Gould nel suo “I pilastri del tempo”.
Per tornare in Italia, Giovanni Papini, prima che la vita lo portasse a convertirsi e a rinnegare il suo passato, sulla rivista nazionalista Lacerba, nel 1914 scriveva: “Finalmente è arrivato il giorno dell’ira dopo i lunghi crepuscoli della paura. Finalmente stanno pagando la decima delle anime per la ripulitura della terra… Siamo troppi. La guerra è una operazione maltusiana. C’è un troppo di qua e un troppo di là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla tavola”. Ed Enrico Corradini, interpretando la stessa concezione ateistica e socialdarwinista, sul Regno del 28 febbraio 1904, allo scoppio del conflitto russo giapponese, descriveva la guerra come “un grandioso e terribile fenomeno della natura, un cozzo di forze avverse primordiali ed eterne, irrefrenabili. E tali sono appunto le forze che conducono alle guerre le nazioni e le razze. Perciò dinanzi ad esse l’uomo civile è abolito e ritorna l’uomo sincero allo stato di natura”.
I frutti del nazionalismo, già condannato da diversi Papi, inutilmente, nelle loro encicliche, avrebbe dunque portato dapprima alla guerra e poi, nel dopoguerra, al fascismo, al nazismo e al “socialismo nazionalista” di Stalin, secondo la celebre definizione di Trotzkij.
L’altra componente del nazionalsocialismo fu il razzismo. Non è qui il luogo per ripercorrere una ideologia che è comunque basata, essenzialmente, sul materialismo biologico: “Sangue e suolo” era lo slogan dei nazisti, proprio a significare una prevalenza degli elementi naturali, materiali, fisici, sull’anima immortale (che veniva esplicitamente negata). Effettivamente il razzismo non era mai esistito nella storia dell’Europa cattolica, prima delle rivoluzioni culturali. Come ha ben raccontato Leo Poliakov nel suo “Il mito ariano” (Editori Riuniti), vi è una stretta correlazione tra il pensiero materialista e la genesi del razzismo; correlazione fondamentale tra negazione della comune figliolanza degli uomini, tutti creati da Dio, e l’idea che gli uomini siano invece originati da ceppi diversi, più o meno “nobili”, più o meno evoluti. Mentre lo scienziato cattolico Louis Pasteur, alla fine dell’Ottocento, rivendicava l’uguaglianza degli uomini di fronte a Dio, loro creatore, le ideologie atee sostenevano che la storia Adamo ed Eva, con le sue implicazioni logiche, e cioè la fratellanza universale in senso cattolico, era una evidente falsità, perché in realtà la scienza dimostrerebbe l’ineguaglianza delle razze in base alla misurazione dei crani, degli arti, e al tentativo di ridurre l’uomo alla sua fisicità.
Basti pensare a Voltaire, il famoso “apostolo della tolleranza”. Secondo costui l’idea cattolica secondo cui l’umanità deriva tutta da Adamo ed Eva, per cui siamo tutti “fratelli”, è una emerita sciocchezza assolutamente antiscientifica. Al monogenismo biblico, che esclude di per sé qualsiasi razzismo, sostituì il poligenismo, cioè l’idea “secondo cui i diversi gruppi umani discendevano da numerosi e differenti antenati” (Francesco Maria Feltri).
Il razzismo si nutrirà, anche dopo queste prime teorizzazioni, di una visione assolutamente atea, teoricamente o praticamente, della vita, una visione in cui non vi è alcuno spazio per un Dio creatore di tutti i popoli, ma solo per l’esistenza di popoli “superiori” e di popoli “inferiori”, di sangue, di luoghi, di colore della pelle, di predisposizioni naturali e genetiche e di ambienti operanti sull’uomo al di sopra della sua libertà. Lo storico Gianni Gentile, parlando dell’imperialismo, afferma: “La cultura scientifica di stampo positivistico (cioè ateo, ndr) nella seconda metà dell’Ottocento aveva elaborato una teoria delle razze, secondo la quale a ogni razza venivano attribuite diverse basi biologiche che determinavano i vari comportamenti, anche dal punto di vista morale e dei costumi. Questa impostazione pseudoscientifica consentiva di stabilire una gerarchia che poneva la razza bianca al di sopra delle altre razze”.
Strettamente connessa al razzismo, troviamo l’eugenetica, che altro non è che l’antico sogno, utopico, e cioè ateistico, di creare una umanità perfetta, assolutamente sana, senza macchia, che evidentemente non ha bisogno di un Dio salvatore e di una Redenzione. L’eugenetica è presente già nella Repubblica ideale, sostanzialmente comunista, di Platone, nella “Città del sole” di Tommaso Campanella, anch’essa organizzata secondo criteri comunisti; nel sogno di alcuni maghi del Cinquecento, che credevano di poter applicare la selezione adottata per i cavalli, anche all’uomo. Soprattutto, l’eugenetica moderna, riporta ancora al nome del sedicente scienziato, ateo, Francis Galton, che nel 1883 coniò la parola “eugenics”, spiegando al mondo che tramite matrimoni selettivi e sterilizzazioni forzate si sarebbe creato l’“uomo nuovo”, sano e felice.
Non tanti anni più tardi Adolf Hitler, nel “Mein Kampf”, dopo aver spiegato che “lo stato, la nazione, dovrà impedire ai malati o ai difettosi” di procreare, aggiungeva: “Basterebbe per seicento anni non permettere di procreare ai malati di corpo e di spirito per salvare l’umanità da una immane sfortuna e portarla a una condizione di sanità oggi pressoché incredibile”. Del resto Rudolf Hess era solito definire il nazismo una “biologia applicata”, mentre lo studioso Lifton ha definito il nazismo come una “biocrazia”: “Il progetto nazista si ispirava a una visione di controllo assoluto del processo evolutivo sul futuro umano biologico. Facendo ampio uso del termine darwiniano ‘selezione’ i nazisti cercarono di arrogarsi le funzioni della natura (selezione naturale) e di Dio nell’orchestrare le proprie selezioni, la loro versione della evoluzione umana”.
Infine, in questa breve analisi, non si possono trascurare le radici anche socialiste, sia del fascismo, sia del nazionalsocialismo, sia, evidentemente del comunismo. Il marxismo ateo, che influenzò tutti i tre i totalitarismi, con gradazioni diverse (ma non è questo il luogo per analizzare questo punto), rappresenta anch’esso, come ha giustamente scritto Karl Löwith, una “forma secolarizzata del pensiero biblico”: “La lotta finale dei due campi ostili della borghesia e del proletariato corrisponde alla fede cristiana in una lotta finale tra Cristo e l’Anticristo nell’ultima epoca della storia, il compito del proletariato corrisponde alla missione storica del popolo eletto, la funzione redentrice universale della classe più degradata è concepita sul modello religioso della Croce e della Resurrezione, la trasformazione ultima del regno della necessità nel regno della libertà corrisponde alla trasformazione della città terrena nella città di Dio”. Cosa abbia partorito la religione atea del marxismo, lo sappiamo tutti: dalla Russia, alla Cina, alla Cambogia, al Vietnam, ai paesi dell’America latina, si parla, almeno , di cento milioni di morti, secondo cifre, quelle del “Libro nero del comunismo” assolutamente prudenziali. Robert Conquest, nel suo “Il grande terrore”, accenna a venti milioni di vittime solo durante il periodo staliniano, guerra esclusa. Gino Rocca, nel suo “Stalin”, parla di cinque milioni di morti solo nelle grandi purghe staliniane tra il 1937 e il 1938; Aleksandr Solzenitsyn parla di sessantasei milioni di morti in Russia tra il 1917 e il 1959, nel suo “Arcipelago gulag”. Per nessuna epoca della storia, prima dell’affermarsi dell’ateismo assoluto, si possono solo lontanamente pensare le stragi e le malvagità create da nazismo e comunismo, e dalle loro appendici ideologiche (razzismo, eugenetica, socialdarwinismo). E’ una evidenza storica che nessuno può negare.

IL FOGLIO 4 dicembre 2007