Identità e statuto embrione umano: il contributo della biologia (Parte III^)

Sotto l’influsso dei progressi in embriologia umana, che portarono alla produzione di embrioni umani per la riproduzione assistita e, oggi, anche per la ricerca, la tesi qui proposta, che era – ed ancora è – comune tra gli embriologi dei mammiferi, fu vista come un ostacolo a legislazioni favorevoli all’uso di embrioni umani. Molte opinioni alternative furono perciò proposte principalmente da filosofi, teologi e scienziati, riguardo soprattutto al punto cronologico quando un embrione umano deve essere considerato un individuo umano, qualificato per l’attribuzione dello status ontologico e morale di persona eo per essere titolare dei pieni diritti umani. Esse implicano delle obiezioni alla tesi qui sostenuta, e saranno perciò raggruppate e brevemente discusse.

Le obiezioni:

Pre‑embrione versus individualità


Una opinione oggi largamente accettata è che fino al 15° giorno dalla fertilizzazione o almeno fino all’impianto – che inizia approssimativamente il 5°‑6° giorno dalla fertilizzazione – dal un punto di vista ontologico, l’embrione umano non può essere considerato un individuo. In favore di questa opinione vengono addotte quattro ragioni principali.


La prima ragione è che l’embrione, nei primi stadi dello sviluppo e fino allo stadio di disco embrionale, sarebbe semplicemente un « ammasso di cellule geneticamente umane », un « mucchio di cellule individuali e distinte », ciascuna delle quali è una « entità ontologicamente distinta in semplice contatto con le altre ».1 Ovviamente queste affermazioni sono totalmente in contrasto con i dati scientifici a disposizione, alcuni dei quali sono stati precedentemente ricordati. Questa obiezione, perciò, non solo manca di ogni fondamento biologico, ma è semplicemente contraddetta dall’evidenza biologica.


La seconda ragione fu inizialmente proposta dalla ben nota studiosa di embriologia del topo, A. McLaren. Ella ritiene che, fino a circa il 14o giorno dalla fertilizzazione, ciò che avviene è semplicemente una preparazione dei sistemi protettivi e nutritivi richiesti per le future necessità dell’embrione. Infatti, soltanto al 15o giorno dopo la fertilizzazione, quando appare la stria primitiva, c’è una entità spazialmente definita, detta disco embrionale, che « può svilupparsi direttamente in un feto e poi in un bambino ».2 Fu precisamente questo il motivo che la indusse a introdurre il termine ‘pre‑embrione‘, per designare l’embrione umano dal momento della fertilizzazione fino al 14o giorno dello sviluppo.


A questo riguardo si può semplicemente notare, ricordando quanto è stato esposto sopra, che il disco embrionale è, in realtà, una struttura cellulare organizzata che deriva da una differenziazione dell’embrioblasto, il quale è già presente quando l’embrione nella sua totalità provvede, sotto il controllo genetico, ad una più rapida differenziazione dei derivati trofoblastici, indispensabili per un corretto e regolare avanzamento del processo morfogenetico. Infatti, sia il trofoblasto che l’embrioblasto, ambedue derivanti dallo zigote, compiono simultaneamente e globalmente il proprio cammino come, un tutto secondo un programma finemente orchestrato.


Una riflessione su questi dati non può che condurre ad affermare, come fanno D.J. Jones e B. Tefler, che « l’embrione precoce (massa cellulare interna e tessuti extra‑embrionali) deve essere visto come un tutto », e che « questo porta a rigettare il termine pre‑embrione poiché – scrivono i due autori – non siamo convinti che esso serva a chiarire né gli aspetti scientifici né quelli etici dell’inizio della vita umana ».3


La terza ragione è il fenomeno della gemellanza monozigotica.4 Questo fenomeno, secondo gli obiettori, è la prova che lo zigote non può essere ontologicamente un individuo umano. Infatti, a loro parere, questo fenomeno mostra che proprio lo zigote ha la capacità di diventare due individui. Questa sembra essere la più robusta ragione per cui viene negata, soprattutto dai filosofi, la individualità all’embrione, almeno fino al termine del periodo della possibile separazione dei gemelli.


Questa obiezione è, da una parte, un chiaro esempio che possono esserci realmente obiezioni consistenti – almeno apparentemente – alla nostra tesi; ma, d’altra parte, essa mostra che, quando le obiezioni sono basate su processi biologici, per arrivare a una corretta interpretazione di un dato fenomeno e dare così all’obiezione un saldo fondamento, esse devono essere basate su accurate e lunghe osservazioni: in questi casi il giudizio non può essere formulato su una base semplicemente metafisica o speculativa. Nel nostro caso, e con i dati attualmente disponibili, l’obiezione derivata dal fenomeno della gemellanza monozigotica appare in effetti inconsistente.


Prima di tutto, il fenomeno è una reale eccezione: il 99‑99,6% degli zigoti si sviluppano come un unico organismo.5 Ciò logicamente significa che lo zigote è per sé determinato a svilupparsi come un unico individuo umano.


Inoltre, studi molto recenti6 sul meccanismo sottostante al fenomeno confortano l’ipotesi che in qualche parte dell’embrioblasto, a causa di qualche errore – per esempio, un ritardo cromosomico all’anafase o un crossing‑over mitotico7 – avvenuto tra il quarto e il settimo giorno dopo la fertilizzazione, si determina un nuovo e indipendente piano di sviluppo, così che un nuovo individuo inizia il suo proprio ciclo vitale. Sembra, perciò, molto ragionevole affermare che c’è un primo essere umano dal quale origina un secondo essere umano. Al contrario, appare incorretto affermare – come sostengono gli obiettanti – che un sistema indeterminato diventa due sistemi determinati. Del resto, lo stesso concetto di “sistema indeterminato” è, dal punto di vista biologico, privo di significato.


Infine, l’affermazione che c’è un primo essere umano che continuerà il suo cammino epigenetico, e un secondo essere umano che origina dal primo e proseguirà poi nel suo percorso di sviluppo indipendente, trova una forte conferma – si potrebbe dire quasi una prova – in molte recenti osservazioni.8 I casi più significativi sono quelli in cui uno dei gemelli ha cariotipo con 47 cromosomi ed è affetto da sindrome di Down, mentre il cogemello ha un cariotipo normale con 46 cromosomi. Il primo soggetto – lo zigote – potrebbe essere, da un punto di vista cromosomico, normale o trisomico‑21. Una segregazione anomala molto precoce del cromosoma 21 potrebbe dare origine a una linea trisomica‑21 nel primo caso, o a una linea normale nel secondo. E evidente che, in ambedue i casi il primo individuo continua il suo proprio corso di sviluppo, mentre il secondo inizia il suo proprio ciclo vitale appena il nuovo piano diventa indipendente dal primo.


La quarta ragione per negare lo stato di individuo allo zigote e all’embrione precoce almeno fino all’impianto è che la coesistenza embrione‑madre è una condizione necessaria perché un embrione appartenente alla specie umana possa acquisire il carattere di individuo umano e diventare un membro della comunità umana.9 Questa condizione, secondo alcuni autori, si può verificare solo all’impianto.


Questo argomento non ha fondamento. E ben noto che la coesistenza dell’embrione con la propria madre inizia molto tempo prima dell’impianto, dal momento cioè in cui inizia il suo cammino lungo la tuba. Inoltre, molte nuove scoperte mostrano che tale coesistenza è conveniente e sapientemente preordinata, ma non necessaria. Per provare questo, sarebbe sufficiente ricordare che lo sviluppo dell’embrione in vitro può proseguire ben oltre lo stadio di impianto e che embrioni di topo impiantati sotto la capsula renale di maschi possono raggiungere lo stadio fetale.10


In conclusione, per le ragioni sopra riferite, l’opinione che l’embrione umano non può essere considerato un individuo fino all’impianto o fino al 15o giorno dalla fertilizzazione, non ha solido fondamento, ed appare quindi insostenibile.


 


Totipotenza versus individualità


La totipotenza, una straordinaria proprietà dinamica dello zigote e delle cellule dell’embrione molto precoce, è la seconda obiezione contro la loro individualità. Il successo di H. Driesch, che nel 1891, separando i due blastomeri di un embrione a due cellule di riccio di mare, ottenne due plutei, anche se più piccoli del normale, fu il primo di una lunga serie di ingegnosi esperimenti per l’analisi di questa sorprendente – anche se logicamente prevedibile – potenza delle cellule del giovanissimo embrione. Un accenno ai principali dati disponibili per i mammiferi11 permetterà di comprendere meglio la questione.


Topi, ratti e conigli furono i principali oggetti di questi studi; ma la ricerca fu estesa anche ad altre specie domestiche, come le pecore, i bovini, i cavalli e i suini. Nei topi e nei ratti il 65% dei singoli blastomeri ottenuti da embrioni a due cellule sono capaci di svilupparsi in feti completi viabili o fino alla nascita; ma ciò non era possibile nel caso di blastomeri isolati da embrioni in stadi di sviluppo più avanzati. Nel coniglio, nella pecora e nel cavallo, invece, i singoli blastomeri isolati da embrioni a due, quattro e otto cellule possono svilupparsi in nati completamente vitali, anche se in percentuali decrescenti con l’aumentare del numero dei blastomeri dell’embrione originale.


Nel topo, aggregati di blastomeri provenienti dalla sola massa interna o da sole cellule periferiche, o da entrambe insieme, prelevati da embrioni allo stadio di morula (16‑32 cellule), non mostrano differenze nello sviluppo dopo l’impianto, indicando che almeno alcune cellule di ciascuna popolazione cellulare fino allo stadio di morula sono ancora totipotenti. Tuttavia, mentre le cellule periferiche perdono la loro totipotenza al termine dello stadio di morula, almeno alcune cellule interne della blastociste precoce – circa al quinto ciclo cellulare – sono ancora totipotenti.


Come afferma R. A. Pedersen, « gli embrioni precoci dei mammiferi placentati sono caratterizzati da un alto grado di regolazione dello sviluppo. Blastomeri dei primi stadi sono totipotenti, e questa totipotenza persiste fino alla tarda fase di clivaggio. Anche dopo la formazione della blastociste, quando le cellule del trofectoderma si comportano come già orientate al proprio destino, le cellule della massa interna rimangono totipotenti per un ulteriore ciclo cellulare, o forse anche più ».12


Un simile esperimento su embrioni umani è stato fatto molto recentemente – non senza critiche anche dal solo punto di vista deontologico – dal gruppo di J. Hall al The in vitro Fertilization and Andrology Laboratory della George Washington University.13 Singoli blastomeri, separati da 17 embrioni a due, quattro e otto cellule – che erano stati considerati non adatti all’impianto – furono rivestiti di una zona pellucida artificiale e posti in un terreno nutritivo dove potessero cominciare a dividersi di nuovo. Si svilupparono 48 nuovi embrioni. In particolare, i blastomeri ottenuti da embrioni a 8 cellule si svilupparono solo fino allo stadio di 8 cellule; quelli provenienti da embrioni a 4 cellule raggiunsero lo stadio di 16 cellule; soltanto quelli derivanti da embrioni a 2 cellule arrivarono allo stadio di 32 cellule. Il decadimento della totipotenza durante la segmentazione di embrioni umani precoci sembrerebbe, quindi, simile a quella osservata nel topo.


Un altro indice di totipotenza delle cellule di embrioni precoci è la possibilità dello sviluppo parziale o anche totale di una o entrambe le loro metà (gemelli) dopo una procurata divisione. Dati riguardanti il topo e alcuni animali domestici mostrano che le proporzioni di sopravvivenza e di crescita per metà embrione sono: 46%, quando la divisione è fatta allo stadio di 4 cellule; 30%, allo stadio di 8‑16 cellule; 42%, allo stadio di morula compatta; e 46%, se fatta allo stadio di blastociste. La sopravvivenza di entrambe le metà di un embrione raggiunge invece il 30% se esse sono derivate da embrioni a 8‑16 cellule, e il 27% se ottenute da una morula compatta.


Appare, dunque, evidente che la manipolazione sperimentale degli embrioni mediante procedimenti di microchirurgia – quali estirpazione, disaggregazione, aggregazione e dislocazione di cellule intatte o marcate, al fine di determinare la loro potenzialità e il loro destino –, ha dimostrato che c’è all’inizio dello sviluppo embrionale un intervallo di tempo, variabile da specie a specie, in cui le cellule embrionali sono totipotenti, cioè hanno la “completa gamma di capacità di sviluppo”, potendo non solo differenziarsi differentemente in diversi ambienti, ma anche di dare origine a individui completi.


Si pone allora la domanda se la presenza di queste cellule totipotenti, che sono ancora capaci di dare origine a un nuovo individuo quando fossero separate dall’embrione in sviluppo, ci costringe a negare la individualità dell’embrione precoce stesso a cui appartengono e dello zigote e, al contrario, ci porta a considerare l’embrione come un aggregato di individui per lo più potenziali, e lo zigote come una cellula indeterminata. La riconsiderazione del processo dello sviluppo, già tratteggiato nella seconda parte del nostro testo, potrà offrire una risposta.


La totipotenza, ovviamente presente nello zigote, non significa indeterminazione ma, come è stato esposto, una capacità attuale di eseguire un piano secondo un determinato programma. Quando questo piano è eseguito secondo il programma, cioè senza interferenze disturbatrici, la unità morfo‑funzionale nella totalità fenotipica auto‑organizzantesi è il segno evidente di una esistenza individuale e perciò di un individuo che, in questo specifico caso, sta costruendo se stesso; e ogni cellula, qualunque possa essere la sua potenzialità, è al suo corretto posto secondo il piano predisposto e risulta coinvolta in un ordinato, unico e coordinato processo. In questo proceso la totipotenzialità iniziale dello zigote diventa poco per volta sempre più ristretta, secondo le esigenze del piano di differenziazione.


In un embrione precoce fino al quarto‑quinto ciclo cellulare, soltanto un errore o un evento dirompente potrebbe riuscire a isolare quella eventuale cellula o gruppo di cellule il cui genoma, secondo il piano di differenziazione, non ha ancora subito restrizione. In tal caso queste cellule potranno essere capaci – poste le necessarie condizioni – di iniziare il loro ciclo vitale. Allora, e soltanto allora, questa cellula o questo gruppo di cellule potrebbero essere considerate come un nuovo individuo; mentre prima erano soltanto una cellula o gruppo di cellule appartenenti a un altro individuo, nel suo preciso stadio di sviluppo.


Perciò la totipotenza non si oppone alla individualità. Cellule totipotenti possono essere parte di un individuo senza distruggerne la sua individualità.


 


Chimere versus individualità


Un vasto numero di linee di ricerca attesta l’esteso ed utile uso di studi su chimere non solo nel campo della biologia dello sviluppo ma anche in altri campi della medicina.14 Gran parte dell’informazione proviene da studi su animali di laboratorio, specialmente sul topo. Tuttavia, dati ottenuti da altri animali, specialmente da bovini e ovini, anche se limitati indicano che gli embrioni chimerici « hanno, come nel caso del topo, una grande flessibilità per quanto concerne i sistemi di regolazione ».15


Gli studi sperimentali sullo sviluppo implicano generalmente la aggregazione di due o più embrioni non ancora giunti allo stadio di blastociste; ad esempio, un embrione a due cellule viene fuso con un embrione, della stessa specie o di specie diversa, che si trova ad uno stadio di sviluppo che va da quello a due cellule sino alla morula. Un’altra tecnica di aggregazione consiste nell’iniezione in una blastociste di una massa cellulare interna (ICM) proveniente da un’altra blastociste.


Sarà sufficiente qui richiamare l’attenzione su due osservazioni. La prima è che la temporizzazione degli eventi della compattazione e della blastulazione non pare subisca alterazioni dal cambiamento del numero totale delle cellule. La seconda è che gli embrioni chimerici hanno la capacità di gestire un numero maggiore di cellule di quello normale, almeno dallo stadio di blastociste in poi.


Sebbene raramente documentate, anche nella specie umana sono conosciute chimere naturali. C. E. Ford16 ha definito nove tipi possibili di chimere, sei dei quali sono stati descritti anche nell’uomo. Tra questi, che implicano due distinti atti di singamia – e sono perciò importanti nel nostro contesto –, meritano di essere ricordati: (1) dispermia con fertilizzazione dell’oocita e del secondo globulo polare; (2) dispermia con fertilizzazione di due nuclei aploidi, figli del nucleo dell’oocita; e (3) dispermia con fusione di un figlio del nucleo dello zigote con il secondo globulo polare fertilizzato.


E certamente corretto chiedersi se questo fenomeno non contrasti con l’attribuzione di una individualità all’embrione, il quale di fatto può aggregarsi e fondersi con un altro, dando così origine a un terzo individuo.


Sebbene l’evidente rarità del fenomeno in natura dovrebbe suggerire molta cautela nel darne una interpretazione, l’approccio sperimentale ha validamente contribuito a una sua migliore comprensione. I modelli sperimentali sono essenzialmente di due tipi.


In un modello, cellule ancora dotate di tutta o gran parte della potenzialità originale sono prelevate dalla massa cellulare interna di una o più blastocisti “donatrici” e sono trapiantate, mediante iniezione, in una blastociste “ricevente”. Questo procedimento può essere correttamente considerato come un microtrapianto: invece di un organo, solo un gruppo di cellule è preso dal donatore. Queste cellule, data la loro ancor grande plasticità e adesività, si mescolano con quelle della blastociste ricevente e vengono coinvolte nel suo piano e controllo dello sviluppo. In questo caso, la blastociste donatrice è praticamente distrutta; la blastociste ricevente, al contrario, continuerà nel suo proprio sviluppo, incanalando le cellule trapiantate lungo diverse vie nei differenti tessuti e organi. In questo modello, la individualità della blastociste ricevente non è in questione; le singole cellule della blastociste donatrice sono invece coinvolte nel suo piano di sviluppo, che continua secondo le sue proprie direttrici.


Nell’altro modello sperimentale, due o più sets di cellule embrionali di stadi pre‑blastocistici sono aggregati insieme entro la stessa zona pellucida (tecnica dell’aggregazione). Il processo epigenetico procede così con il contributo dei vari sets di cellule, terminando nella formazione di un nuovo essere il cui fenotipo è l’espressione dei due genotipi originali. Come avvenga la combinazione e l’integrazione dei due o più piani di sviluppo non è ancora noto; perciò ogni interpretazione non può che essere ipotetica. Tuttavia, il fatto che per il successo dell’esperimento si richieda una notevole concordanza di ambedue i genomi e degli stadi di sviluppo dei due embrioni, suggerisce che l’individuo possibilmente predominante distrugga l’unità dell’altro, le cui cellule sarebbero allora coinvolte nel piano di sviluppo del primo; oppure che emerga realmente un nuovo piano di sviluppo in seguito alla fusione dei due esseri umani omogenomici e omofasici, ancora totipotenziali o quasi, i quali perdono la propria individualità mentre ne appare una nuova, con la quale ha inizio il ciclo vitale di un nuovo individuo umano.


Queste considerazioni potrebbero apparire troppo elementari, e dovranno certo essere riviste con il progresso delle conoscenze su questo curioso fenomeno: tuttavia, esse rimangono nei limiti di una logica induzione biologica.


 


Assenza cerebrale versus individualità


Secondo una opinione, sostenuta principalmente da alcuni filosofi e teologi, nessun embrione umano sarebbe da ritenere un individuo umano – e tanto meno una persona – fino a che il sistema nervoso centrale sia sufficientemente formato, cioè approssimativamente fino alla 6a‑8a settimana di gestazione. Secondo J.M. Goldening, « la vita umana può essere vista come uno spettro continuo, tra l’inizio della vita cerebrale (8a settimana di gestazione) e la morte cerebrale. In ogni momento [della vita] possono esserci tessuti e organi, ma senza la presenza di un cervello umano funzionale essi non possono costituire un essere umano, almeno in senso medico ».17 E J.F. Donceel, teologo, ritiene che « non ci può essere anima umana, e dunque persona umana, nelle prime settimane di gestazione » poiché « il minimo che si possa esigere prima di ammettere la presenza di un anima umana è la disponibilità del sistema nervoso, del cervello e specialmente della corteccia ».18


Senza alcun dubbio un cervello funzionante ha un ruolo essenziale come “centro critico di unità” quando il soggetto umano è formato. Ma la situazione è totalmente diversa nell’embrione. Infatti, durante lo stadio embrionale, c’è una intensa relazione tra cellule, tessuti e organi – sostenuta anche da un continuo, ordinato e coordinato aumento del numero delle cellule nervose – che testimonia la unità morfo‑funzionale. Durante lo stadio embrionale ci troviamo di fronte a un processo altamente dinamico, dove la legge ontogenetica richiede una graduale organizzazione di tutto il corpo e, perciò, anche delle stesse strutture nervose e del cervello, e dove l’unità e la individualità sono garantite dalla legge intrinseca dello sviluppo scritta nel genoma.


E stato particolarmente sottolineato nella prima parte che qualificare un embrione umano come persona non è compito delle scienze biologiche, specialmente quando questa qualifica è strettamente legata alla presenza di un’anima, quale costituente essenziale dell’essere umano. Occorre però ricordare che la ragione fondamentale che sta dietro all’obiezione di Donceel e di altri, è di natura metafisica: l’embrione sarebbe ancora materia inadeguata a ricevere l’anima, poiché anima e corpo devono essere proporzionati tra loro.


Si può semplicemente notare che, sulla base delle attuali conoscenze biologiche, si è costretti ad ammettere la conclusione cui giunge S. J. Heany al termine di una rigorosa analisi degli argomenti dell’Aquinate sui quali si basavano il Donceel e altri tomisti. « Dal momento della fertilizzazione il concepito è materia propriamente disposta ad essere il soggetto di una forma quale l’anima razionale » – scrive Heany –, e « un concepito unicellulare dotato di uno specifico genotipo umano […] è materia molto ben disposta ad essere proprio il soggetto di un’anima intellettiva quanto all’atto primo, materia per cui tale anima è la forma sostanziale ».19


 


Conclusione


La definizione dello status ontologico dell’embrione umano è una questione urgente. Comitati nazionali ed internazionali e vari governi sono ben coscienti di questa urgenza; ma ogni sforzo per trovare un consenso anche solo su alcuni punti fondamentali sembra fallire.


Il grande ostacolo per raggiungere tale definizione, al fine di poter riconoscere la dignità e i diritti dell’embrione, è rappresentato dalla posizione contradditoria che fu originariamente presa in seno al Comitato Warnock,20 e che divenne quasi una norma generalmente accettata e oggi profondamente e fortemente radicata.


Nel capitolo 11 del Rapporto finale, dove era preso in considerazione il problema della sperimentazione sull’embrione umano, si legge: « Mentre, come si è visto, la temporizzazione dei differenti stadi dello sviluppo è critica, appena il processo è incominciato, non c’è nessun particolare del processo di sviluppo che sia più importante di un altro; tutti sono parti di un processo continuo, e se ciascun stadio non avviene normalmente, al tempo giusto e nella corretta sequenza, l’ulteriore sviluppo cessa ».21 Segue quindi, logicamente, una seconda asserzione: « Perciò, biologicamente non si può identificare nello sviluppo dell’embrione un singolo stadio oltre il quale l’embrione in vitro non dovrebbe essere tenuto in vita ».22 Evidentemente la logica scientifica aveva portato i membri del Comitato alla stessa nostra conclusione: il ciclo vitale di ogni essere umano inizia quando i due gameti si fondono. Sembrerebbe dunque che il diritto alla vita dell’embrione sia stato chiaramente riconosciuto a partire dallo stadio di zigote. E da quello stadio, nel quale inizia la vita di un nuovo essere umano, questa non dovrebbe essere deliberatamente interrotta.


Ciononostante, dopo aver preso in considerazione un ampio spettro di opinioni sul problema della ricerca e della sperimentazione sull’embrione umano, il testo poco dopo così prosegue: « Tuttavia si è convenuto che questa era un’area nella quale doveva essere presa qualche precisa decisione, al fine di acquietare la preoccupazione del pubblico ». E la decisione, presa a maggioranza, fu così espressa: « Nonostante la nostra divisione su questo punto, la maggioranza di noi raccomanda che la legislazione dovrebbe concedere che la ricerca possa essere condotta su qualsiasi embrione ottenuto mediante fertilizzazione in vitro, qualunque ne sia la provenienza, fino al termine del 14o giorno dopo la fertilizzazione ».23 La contraddizione logica con le precedenti affermazioni è evidente! E fu allora introdotto il termine “pre‑embrione”, proposto proprio da un membro dello stesso Comitato, al fine di « polarizzare la questione etica »24 alla quale non ci si poteva sottrarre. Ed è su questo terreno che si è sviluppato il dissenso, che ha contribuito a oscurare dati genetici ed embriologici sino ad allora evidenti.


Scienza e medicina hanno certamente aperto nuove e meravigliose opportunità per una migliore comprensione dell’essere umano, fin dal primo momento della sua esistenza, e per nuove imprese di frontiera per la cura eo la prevenzione delle malattie. Forse, però, scienza e medicina, nel loro entusiasmo per la conoscenza e l’azione all’interno di una prospettiva empirica hanno ridotto il valore di un essere umano a un puro valore biologico. Dall’osservazione dello sviluppo umano si potrebbe essere portati ad attribuire un valore differente allo zigote, all’embrione prima o dopo l’impianto, al feto a differenti settimane di gestazione, e così via fino al neonato. Questi, tuttavia, sono valori quantitativi, basati soltanto sulla valutazione della complessità strutturale dell’essere umano. Tali giudizi di valore rappresenterebbero, nei riguardi dell’uomo, un riduzionismo biologico, con tutte le sue gravi conseguenze.


Soltanto ulteriori ricerche interdisciplinari potranno condurre scienziati e tecnologi da una parte, e filosofi e teologi dall’altra, a una più profonda comprensione del peculiare status ontologico e morale dell’essere umano a partire dal suo concepimento, così che la sua dignità sia onorata e i suoi diritti pienamente rispettati fin da quel misterioso ma ineludibile primo atto della nostra vita.





RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI


(1) Cf N.M. Ford, op. cit., pp. 137‑146; M.J. Coughlan, The Vatican, the Law and the Human Embryo, Basingstoke: MacMillan 1990, pp. 69‑70, sostiene che « nello sviluppo dell’embrione umano, fino allo stadio di otto o sedici cellule, ogni cellula è un individuo indipedente, nel senso che una volta che si è formata è organicamente abbastanza indipendente dalle altre, e, in realtà, potrebbe allontanarsi dal resto se non fosse tenuta al suo posto dalla zona pellucida ».


(2) Cf A. McLaren, Prelude to embryogenesis, in The Ciba Foundation, Human Embryo Research, Yes or no?, LondonNew York: Tavistock,1986, 5‑23, p. 12.


(3) Cf D.J. Jones, B. Tefler, Before I was an embryo, I was pre‑embryo or was I?, Bioethics 1995, 9: 47.


(4) Cf W. Ruff, Individualität und Personalität im embryonalen Werden. Die Frage nach dem Zeitpunkt der Geistbeselung,, Theologie und Philosophie 1970, 45: 25‑49; N.M. Ford, op. cit., pp. 132‑137.


(5) Cf P. Propping, J. Krueger, Über der Häufigkeit von Zwillingsgeburten, Deutsche Medizinische Wochenschrift 1976, 101: 506‑512; P.M. Layde, J.D. Erickson, A. Falek, B.J. McCarty, Congenital malformations in twins, American Journal of Human Genetics 1980, 32: 69‑78; H.J. Landy, S. Weinert, S.L. Corson, F.R. Batzer, R.J. Bolognese, The ‘vanishing’ twin: ultrasonographic assessment of fetal disappearance in the first trimester, American Journal of Obstetrics and Gynecology 1986, 155: 14‑19.


(6) Cf C.E. Blokage, On the timing of monozygotic twinning events, Progress in Clinical and Biological Research 1981, 69(A): 155‑165; Id., Twinning, non‑righthandedness and fusion malformation: evidence for heritable causal elements held in common, American Journal of Medical Genetics 1987, 28: 67‑84.


(7) Cf G.B. Coté, J. Gyftodinou, Twinning and mitotic crossing over: some possibilities and their implications, American Journal of Human Genetics 1991, 49: 120‑130.


(8) Cf J.G. Rogers, S.M. Voullaire, H. Gold, Monozygotic twins discordant for trisomy 21, American Journal of Human Genetics 1982, 11: 143‑146; T. Hassold, Mosaic trisomic in human spontaneous abortions, Human Genetics 1982, 61: 31‑35; C.E. Schwartz, S.M. Sauer, A.M. Brown, R.A. Saul, R.F. Stevenson, Detection of DNA fingerprint differences in monozygotic twins discordant for the Proteus Syndrome, Cytogenetics and Cell Genetics 1989, 51: 1075.


(9) Cf F. Abel, Nascita e morte dell’uomo: prospettive della biologia e della medicina, in Biolo S. (a cura di), Nascita e morte dell’Uomo: Problemi Filosofici e Scientifici della Bioetica, Genova: Marietti, 1993: 37‑53.


(10) Cf W.D. Billington, C.F. Graham, A. McLaren, Extra‑uterine development of mouse blastocysts cultured in vitro from early cleavage stages, Journal of Embryology and Experimental Morphology 1969, 20: 391‑399; D.A.T. New, M. Mizell, Opossum fetuses grown in culture, Science 1972, 175: 533‑536; Y.C. Hsu, Differentiation in vitro of mouse embryos to the stage of early somite, Developmental Biology 1973, 33: 403‑408; P.A.W. Rogers, A.M. MacPherson, L.A. Beaton, Embryo implantation in the anterior chamber of the eye, Annals of the New York Academy of Sciences 1988, 451: 455‑464.


(11) Cf R.A. Pedersen, Potency, lineage and allocation in preimplantation mouse embryos, in J. Rossant, R.A. Pedersen (a cura di), Experimental approach to mammalian embryonic development, op. cit., pp. 3‑33; J. Rossant, Development of extraembryonic cell lineages in the mouse embryo, in J. Rossant, R.A. Pedersen, op. cit., pp. 97‑120; R. Beddington, Analysis of tissue fate and prospective potency in the egg cylinder, in J. Rossant, R.A. Pedersen, op. cit., pp. 121‑147.


(12) Cf R.A. Pedersen Potency, lineage and allocation in preimplantation mouse embryos, op. cit., p. 24.


(13) Cf R. Kolberg, Human embryo cloning reported, Science 1993, 262: 652‑653; C. Holden, Embryo cloners jumped the gun, Science 1994, 766: 1949; R. Macklin, Cloning without prior approval: a response to recente disclosures of noncompliance, Kennedy Institute of Ethics Journal 1995, 5: 57‑60.


(14) Cf N. Le Douarin, The ontogeny of the neural crest in avian embryo chimeras, Nature 1980, 286: 663‑668; N. Le Douarin, A. McLaren (a cura di) Chimeras in Developmental Biology, New York: Academic Press, 1984; S.D.M. Barnes, Bird chimeras may be models for certain neurological diseases, Science 1986, 282: 930‑932; E. Balaban, N.‑A. Teillet, N. Le Douarin, Application of the quail‑chick chimera system to the study of brain development and behavior, Science 1988, 241: 1339‑1342; D. Solter, Differentiation imprinting and expression of maternal and paternal genomes, Annual Review of Genetics 1988, 22: 127‑146.


(15) Cf V.E. Papaioannu, K.M. Ebert, Comparative aspects of embryo manipulation in mammals, in J. Rossant, R.A. Pedersen, op. cit., p. 79.


(16) Cf C.E. Ford, Mosaic and chimeras, British Medical Bulletin 1969, 25: 104‑109.


(17) Cf J.M. Goldening, The brain‑life theory: towards a consistent biological definition of humanness, Journal of Medical Ethics 1985, 11: 204.


(18) Cf J.F. Donceel, Immediate animation and delayed hominization, Theological Studies 1970, 31: 101.


(19) Cf S.J. Heany, Aquinas and the presence of the human rational soul in the early embryo, The Thomist 1992, 56: 37.


(20) Department of Health and Social Security, Report of the Committee of Inquiry into Human Fertilization and Embryology, London: Her Majesty’s Stationery Office, 1984.


(21) Id., Ibid., p. 65.


(22) Id., Ibid., p. 65.


(23) Id., Ibid., p. 69.


(24) Cf D. Davies, Embryo research, Nature 1986, 320: 5‑7.