Guerra per banche

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Così tra crac finanziari e speculazioni sul greggio Washington e Mosca alzano la nuova cortina di ferro. E gli arabi non stanno a guardare

di Mauro Bottarelli
Tempi.it, 25-9-2008

\"Dipendenti«Crollo Lehman, ingenti danni per gli investimenti arabi e il greggio, vera vittima sacrificale della peggiore crisi finanziaria nella storia». A dare questa lettura decisamente di parte del terremoto finanziario che sta scuotendo il mondo era, martedì 16 settembre, il quotidiano panarabo al Hayat, edito a Londra, stampato in inglese e di proprietà saudita. Il quale lamentava come il prezzo del greggio sia «a meno 50 dollari al barile rispetto al limite di 147 dollari raggiunto nelle settimane scorse, il livello più basso registrato da sette mesi». L’altro grande giornale panarabo, al Sharq al Awsat (anche questo di proprietà saudita) metteva invece l’accento sugli effetti «devastanti sulle principali borse dei ricchi Emirati del Golfo». Ovviamente la tutela dei propri interessi è legittima ma un peana di questo genere per il calo del prezzo del petrolio dopo la spaventosa impennata dei mesi scorsi – che ha riempito le casse dei paesi produttori – e la recente decisione a sorpresa dell’Opec di tagliare la produzione appare quanto meno fuori luogo. Gli ultimi a piangere miseria, insomma, dovrebbero essere proprio i ricchi produttori di petrolio. Ma attenzione perché la comunità finanziaria araba di Londra non parla mai a caso. Tra le righe di quel messaggio viene lancia un’accusa precisa: il fallimento di Lehman è stato permesso scientemente perché questo avrebbe riequilibrato gli assetti. Ovvero, crollo del prezzo del greggio e una pesante batosta verso chi finora ha fatto soldi sfruttando la crisi e comprato a prezzi di saldo pezzi di finanza mondiale attraverso i fondi sovrani.

Che il governo americano abbia rifiutato un aiuto nei confronti di Bank of America se questa avesse salvato Lehman Brothers è noto, ma questo non rappresenta ancora una prova. Che Bank of America sia corsa a divorare Merrill Lynch subito dopo. anche in questo caso senza garanzie da parte di Washington, nemmeno. Anche il fatto che la banca britannica Barclays – in cordata proprio con Bank of America nella missione per salvare l’ex gigante di Wall Street – abbia acquistato alcune attività (le più sane e lucrose, brokeraggio e trading Usa) del gruppo Lehman Brothers non prova nulla, ma dimostra che la carcassa della mayor di Wall Street faceva gola a molti e che lo spettacolo di disperazione che offriva non disturbava troppo il Tesoro americano e la Fed. Il fatto però che su un sito informatissimo come Cnbc si parlasse apertamente di petrolio che toccherà a breve quota 75 dollari comincia invece a far intravedere qualche possibile scenario: ovvero, di fronte a un “too big to fail” malmesso come Lehman il segretario al Tesoro Usa, Henry Paulson (ex capo di Goldman Sachs), ha preferito indossare la maschera del liberista duro e puro rifiutando altri aiuti di Stato e ottenendo così un triplice effetto: far scendere il prezzo del greggio (vera leva della possibile ripresa), risparmiare denaro necessario a salvare attraverso un prestito ponte da 85 miliardi di dollari il colosso delle assicurazioni Aig e assestare uno shock “salutare” all’economia mondiale, quella occidentale, che necessita di disintossicarsi del tutto, ma soprattutto quella overvalued e troppo interventista dei paesi arabi e della Russia. Non è un caso che  sempre martedì 16 settembre la borsa di Mosca sia scesa del 16 per cento a 905.57 punti, sotto la pericolosa soglia psicologica dei 1.000 punti, gettando letteralmente nel panico gli investitori e costringendo le autorità a sospendere le contrattazioni fino a venerdì 19.

La Fed salva l’Europa ma non i russi
Una scelta strategica quella americana: Lehman, infatti, era la banca con la maggiore attività al mondo come trader di obbligazioni e fondi obbligazionari mentre Aig e il suo crollo avrebbero colpito letalmente quasi esclusivamente gli Usa e l’Europa, come denunciava il britannico Daily Telegraph poche ore dopo il salvataggio del colosso assicurativo: «Le banche europee erano particolarmente a rischio in caso di un fallimento della Aig, perché detengono i tre quarti dei 441 miliardi di dollari di strumenti complessi e deregolati protetti dalla Aig. Tali obbligazioni sono legate al mercato dei subprime, che si sta inabissando».
Europei salvi grazie alla Fed, quindi. E i russi, invece? «L’economia russa è sufficientemente solida per poter reagire alla crisi dei mercati, che si dimostra peggiore delle peggiori attese» ha sottolineato il presidente russo Dmitri Medvedev il 18 settembre scorso, secondo il quale «il mercato globale soffre la più grande crisi degli ultimi 10 anni. A cosa è legato? Lo sappiamo benissimo» ha precisato, avanzando una nemmeno velata accusa per le politiche economiche degli Stati Uniti, che si riflettono negativamente sui mercati internazionali. D’altronde bastava leggere il titolo della home page del sito del quotidiano filo-governativo Izvestiya di giovedì 18 settembre per capire il clima: «Gli Stati Uniti si stanno dimostrando più pericolosi per il mondo di una minaccia nucleare».

Le sospette oscillazioni del barile
Subito dopo il blitz in Georgia, inoltre, il presidente russo Dmitry Medvedev ha varato un piano di salvataggio d’emergenza per il settore privato, il terzo dalla sua elezione: il conto totale, ad oggi, è di 130 miliardi di dollari. Il timore di Mosca è chiaro: sono certi che l’America punti a spaventare il cittadino russo medio, già colpito da devastanti crisi dal 1989 ad oggi, affinché questi corra a togliere i propri soldi dalle banche mandando il sistema al collasso, costringendo il Cremlino a iniezioni di liquidità nel sistema bancario e soprattutto investendo all’estero, magari in banche occidentali: un affronto a cui Vladimir Putin potrebbe reagire in maniera non preventivabile. Insomma, dopo la guerra guerreggiata in Georgia, arriva il tempo della guerra per banche.
Tanto più che sempre la scorsa settimana il governo russo ha deciso di ridurre i dazi sull’esportazione di petrolio greggio a 372 dollari per tonnellata a partire dal 1 ottobre 2008: questa misura dovrebbe far risparmiare le compagnie petrolifere e della trasformazione greggio per circa 5,5 miliardi di dollari. La contromossa russa, come si vede, non si è fatta attendere: da un lato si attacca con le banche, dall’altro si risponde con la leva petrolifera.
Nei giorni del crollo Lehman il barile di greggio era sceso a quota 90 dollari sul timore che il tracollo dei mercati fosse prodromico a un rallentamento dell’economia e quindi della domanda: guarda caso, due giorni dopo, con i mercati sempre in crisi e le banche centrali costrette a pompare liquidità per garantire un po’ di ossigeno, il prezzo del barile è salito di oltre 9 dollari superando ancora quota 100. Come mai? Gli speculatori sono tornati in pista all’Ice di Londra e al Nymex di New York giocando sui future: i fondi sovrani arabi e russi hanno deciso di vendicarsi da subito. Speculare sul greggio è più facile e meno costoso che speculare sulle azioni. Per avere 100 mila dollari di azioni a Wall Street è necessario mettere sul piatto 50 mila dollari in contanti o simili, il cosiddetto margine. Per comprare a termine – appunto il future – 100 mila dollari di greggio, basta anticiparne 5 mila ed essere pronti a rivendere il diritto a quel greggio il giorno successivo. Magari avendo guadagnato un milione grazie all’aumento di un solo dollaro del prezzo del greggio. Inoltre c’è anche un’altra scappatoia a far gola ai fondi sovrani, soprattutto arabi e russi sulla piazza londinese: ovvero il fatto che all’Ice di Londra si possono trattare future sul greggio statunitense, il Wti, senza incappare nelle regolamentazioni della Sec, ovvero l’autorità della Borsa di New York che controlla gli scambi al Nymex, la piazza statunitense in cui si trattano i future sul petrolio.

Un altro segnale fa capire che le contromosse alla politica americana sono già in atto: il vicepremier russo Igor Sechin la\"\" scorsa settimana è stato in visita ufficiale in Nicaragua dopo Cuba e Venezuela mentre Hugo Chávez sarà in Russia questa settimana dopo essere stato definito «un alleato chiave» dallo stesso Sechin.

Putin chiama, Chávez risponde
La possibilità di cooperazione nel settore petrolifero è stata al centro dell’incontro tenuto a Managua e il capo di Stato del Nicaragua ha concluso il giro di tavolo facendo notare che «non ci sono motivi per cui la nuova Russia non possa avere oggi livelli di cooperazione come ai tempi dell’Unione sovietica». Agli Usa, d’altronde, conviene giocoforza sfruttare almeno strategicamente questa crisi ineluttabile. Il fatto che Morgan Stanley, una delle due big di Wall Street rimasta in vita, stia trattando sottobanco – tra mille smentite che appaiono sempre di più conferme, a meno che non vada in porto la pista interna di fusione con Wachovia – con la banca d’affari cinese Citic Group per un’iniezione di capitale e una potenziale fusione con acquisizione parla la lingua di un nuovo assetto mondiale in fieri dettato dalla crisi economica: la Russia mostra i muscoli ma è più debole, cerca alleati in giro per il mondo ma per il semplice motivo che sta perdendo il più potente e fidato alleato. Ovvero la Cina, talmente esposta sul mercato americano a livello di titoli di Stato in dollari e obbligazioni da non poter permettere il crollo della finanza e dell’economia Usa. È solo un altro tipo di guerra: niente missili e aerei, bastano i listini di borsa e i future sul greggio.