Gli incompetenti in tv su guerra e terrorismo

LA DEMOCRAZIA DISINFORMATA


E’ una tesi nota e comprovata dall’esperienza che le democrazie sono normalmente poco adatte ad affrontare con costanza ed efficacia i problemi della politica internazionale. Questo resta vero anche se in momenti eccezionali, di gravissima emergenza, esse riescono a mettere in campo inaspettate capacità di compattezza e a sprigionare formidabili energie.

Le cattive performance delle democrazie, in tempi normali, sono da imputare soprattutto alla disinformazione, che rende l’opinione pubblica facile preda di suggestioni demagogiche e incline a forti oscillazioni di umori e orientamenti sulle questioni internazionali. Questo tallone d’Achille delle democrazie può rivelarsi particolarmente grave nelle specialissime condizioni di «non-guerra e di non-pace» in cui siamo immersi a causa della sfida terrorista. Fatta eccezione per il caso degli Stati Uniti (che dall’11 settembre 2001 sono in guerra sapendo di esserlo) la peculiare natura della sfida terrorista, la sua radicale diversità rispetto alla guerra classica, impediscono alle democrazie di sviluppare la compattezza dei tempi eccezionali. Talché, anche i temi più delicati e drammatici, quelli che hanno a che fare con il terrorismo, rischiano, soprattutto durante le campagne elettorali, di essere triturati e banalizzati come se fossero identici a qualunque altro tema del confronto politico.
In Italia, complici anche la frammentazione del sistema partitico e la demonizzazione incrociata fra gli schieramenti, la naturale tendenza della democrazia a fronteggiare male le questioni internazionali, è accentuata dai comportamenti della classe politica. Ad esempio, anziché lasciare la parola ai (pochissimi) che, in ciascuno schieramento, sanno davvero di che cosa parlano, se discutono di Onu, di Iraq, di terrorismo islamico, eccetera, la classe politica si affida troppo spesso, persino su temi di questa portata, all’improvvisazione e alla mancanza di professionalità di una folla di mestieranti che conoscono solo le esigenze del loro collegio elettorale. A parte il cattivo spettacolo di tante dichiarazioni strampalate e dilettantesche, l’effetto più grave è la confusione che ciò induce nell’opinione pubblica.
Questa confusione può contribuire a determinare effetti-boomerang devastanti. Ad esempio, se non fosse stato per la percezione di avere di fronte a sé un’opinione pubblica frastornata, forse la Lista Prodi non avrebbe preso sul serio il povero Zapatero quando costui affermava categoricamente che non ci sarebbe stata nessuna mozione Onu prima del 30 giugno e non avrebbe quindi fatto l’errore di schierarsi per il ritiro immediato delle truppe italiane dall’Iraq.
Recentemente, in una trasmissione televisiva dedicata alla scuola, il ministro Moratti ha fatto un’ottima figura sbaragliando tutti gli oppositori presenti per il semplice fatto che costoro nulla conoscevano dell’argomento in discussione. Speriamo che questo piccolo, ma significativo, episodio insegni qualcosa alla classe politica, di maggioranza e di opposizione, anche per quanto riguarda le questioni intrecciate del terrorismo e della politica internazionale.
Per dare una chance alla democrazia, per rendere l’opinione pubblica meno confusa e più consapevole dei veri termini delle questioni in gioco, è meglio che i partiti (per lo meno quelli delle due principali coalizioni) imparino a disciplinarsi di più, lasciando a casa – o almeno, fuori dagli studi televisivi – i tanti esponenti che, su tutte queste questioni, hanno ben poco di razionale e di documentato da dire.


di ANGELO PANEBIANCO (C) Corriere della Sera, 10 giugno 2004