Don Georg e il pericolo islamizzazione…

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ATTENZIONE

PERICOLO ISLAMIZZAZIONE DELL’EUROPA

L’islam si presenta spesso in pubblico come tollerante e pronto a integrarsi. Ma in realtà approfitta della nostra ingenuità. «Non si possono minimizzare i tentativi di islamizzare l’Occidente come non si possono ignorare i pericoli che questi tentativi rappresentano per l’identità dell’Europa. La Chiesa vede chiaramente questi pericoli e non può non indicarli…»

1) «L’islam minaccia l’identità dell’Europa» di SALVO MAZZOLINI


2) L’imam double-face di Perugia mostra che il Papa ha ragione di ANTONIO SOCCI


1)


«L’islam minaccia l’identità dell’Europa»

Il segretario del Papa intervistato da una rivista tedesca: «Non si possono minimizzare i tentativi di islamizzare l’Occidente». Ribadita l’importanza per la Chiesa del dialogo con il mondo musulmano. Ma ci sono «correnti estremiste decise a imporre la legge del Corano anche col fucile»

di Salvo Mazzolini

A quasi un anno dal discorso di Benedetto XVI a Ratisbona, che tante polemiche suscitò nel mondo musulmano, una delle persone più vicine a Papa Ratzinger torna sullo scottante tema dei rapporti con l’islam segnalando i tentativi di islamizzazione in corso nel mondo occidentale ed esortando a non sottovalutarne le conseguenze.

A lanciare il nuovo grido di allarme, seppure formulato con parole caute e diplomatiche ma dal significato inequivocabile, è monsignor Georg Gaenswein, il prelato che meglio conosce il pensiero di Benedetto XVI sia per la sua carica di segretario del Papa sia per la sua biografia. Tedesco e bavarese come il Pontefice e come lui docente di Teologia, Georg Gaenswein giunse a Roma nel ’95 e da allora ha sempre ricoperto incarichi che lo hanno portato a collaborare con Joseph Ratzinger. In una lunga intervista al Sueddeutsche Zeitung, monsignor Gaenswein racconta la vita del Papa, ma non si sottrae alle domande insidiose come quando l’intervistatore, Peter Seewald, autore di una biografia su Ratzinger, gli chiede un giudizio sul famoso discorso di Ratisbona, in cui il Papa citò le parole di un imperatore bizantino che accusava Maometto di non aver portato nulla di buono e umano perché esortava i musulmani a difendere la fede anche con la spada.

A quasi un anno di distanza monsignor Georg conferma che quel discorso non solo fu scritto dal Papa di suo pugno, ma che nella versione in cui è stato pronunciato può essere considerato profetico. «Solo quando atterrammo a Roma al ritorno dalla Baviera apprendemmo delle reazioni che il discorso aveva suscitato tra i musulmani, fummo sorpresi e anche il Papa fu sorpreso per come vennero interpretate le sue parole. Tutto è successo perché gli organi di informazione hanno pubblicato solo un estratto del discorso facendo passare l’estratto come sintesi del pensiero del Papa». Insomma non ci fu nessuna intenzione di offendere i musulmani. Precisato questo punto, il segretario di Ratzinger non esita però a esprimere la preoccupazione del Papa per la carica espansionistica dell’islam e per le sue conseguenze sull’Europa in particolare. «Non si possono minimizzare i tentativi di islamizzare l’Occidente come non si possono ignorare i pericoli che questi tentativi rappresentano per l’identità dell’Europa. La Chiesa vede chiaramente questi pericoli e non può non indicarli. Proprio il discorso di Ratisbona va letto in questa direzione». Un segnale di allarme quindi lanciato principalmente a difesa delle radici cristiane dell’Occidente. «L’Europa non può vivere se le si tagliano le sue radici perché ciò significherebbe strapparle l’anima». Nell’intervista monsignor Gaenswein ribadisce l’importanza per la Chiesa cattolica del dialogo con l’islam, ma non nasconde che è un dialogo difficile perché «l’Islam è un mondo composto da molte correnti, alcune nemiche tra loro e alcune, le più estremiste, decise a imporre la legge del Corano anche con il fucile».

L’allarme dell’autorevole prelato sui pericoli dell’islam in Europa coincide, e non è un caso, con un momento in cui in Germania infuriano le polemiche per la costruzione di una nuova grande moschea a Colonia, città simbolo del cattolicesimo tedesco. Finanziata da organizzazioni turche e dagli Emirati del golfo, la moschea, che dovrebbe sorgere non lontano dal famoso duomo di Colonia, avrà due minareti alti 55 metri. Ma l’ultima parola non è detta. Molte le voci contrarie, tra cui quella del vescovo di Augusta, Walter Mixa, che in un’intervista ha detto che i musulmani non possono pretendere di costruire moschee in Germania fino a quando nei loro Paesi non verrà garantita sufficiente libertà per le altre religioni. «Nella maggior parte dei Paesi musulmani – ha ricordato – i cristiani non hanno quasi il diritto di esistere. Fino a quando questa situazione perdurerà è bene dire ai musulmani in tutta amicizia che non possono chiedere totale libertà di culto ai Paesi ospitanti per poi negarla a casa propria. La soluzione è la reciprocità in materia di libertà religiosa».

Il Giornale n. 177 del 2007-07-28

2)


L’imam double-face di Perugia

mostra che il Papa ha ragione


L’islam si presenta spesso in pubblico come tollerante e pronto
a integrarsi. Ma in realtà approfitta della nostra ingenuità

di ANTONIO SOCCI

Ha fatto clamore don Georg Gaenswein, segretario del Papa, il quale ha dichiarato alla Sueddeutsche Zeitung: «I tentativi di islamizzare l’Occidente non vanno taciuti. E il pericolo connesso per l’identità dell’Europa non può essere ignorato a causa di una falsa idea del rispetto». Il prelato ha sottolineato che «la parte cattolica vede molto chiaramente (tale pericolo) e lo dice anche». Il discorso del Papa a Ratisbona del settembre scorso – ha affermato – «dovrebbe servire a contrastare una certa ingenuità». È un allarme esagerato? Può apparire tale solo alle “anime belle” che ignorano la storia. Che ci viene ricordata da due storici (peraltro non cattolici). «Per quasi mille anni», ha scritto Bernard Lewis, «dal primo sbarco moresco in Spagna al secondo assedio turco di Vienna, l’Europa è stata sotto la costante minaccia dell’islam». Samuel Huntington ha ricordato inoltre che «l’islam è l’unica civiltà ad aver messo in serio pericolo, e per ben due volte, la sopravvivenza dell’Occidente». Il Papa conosce molto bene la storia. E anche l’attuale situazione. Fece impressione, al sinodo dei vescovi del 1999, monsignor Giuseppe Bernardini, arcivescovo di Smirne, in Turchia, il quale riferì che, durante un incontro ufficiale di dialogo islamo-cristiano, un’autorevole personalità musulmana si rivolse ai cristiani con queste parole dure e calme: «Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo; grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo».

IL RICORDO DI RATISBONA

Dunque in Vaticano si torna a ricordare quanto il Papa disse a Ratisbona, anche se quel discorso scatenò le violente reazioni del mondo islamico. Finora non era mai stato rievocato perché, paradossalmente, fu proprio il Papa, insultato e minacciato, a doversi quasi scusare con gli intolleranti e i violenti. In quel clima di grave tensione il Vaticano fu indotto a dare il suo “sì” all’ingresso della Turchia nella Ue, contraddicendo quanto Ratzinger aveva sempre sostenuto da cardinale. Anche nei giorni scorsi il Segretario di Stato ha ribadito questa nuova, disastrosa posizione. Il fatto che in Vaticano oggi si torni a citare il discorso di Ratisbona che, sottolinea La Repubblica, «piacque molto» fra gli addetti ai lavori, come l’ex segretario di Stato americano Kissinger – può significare che il Papa tornerà a far prevalere la cautela sulla questione turca? L’allora cardinal Ratzinger, nell’ottobre 2004, mi diceva che era molto preoccupato per l’ingresso in Europa di un Paese di 70 milioni di musulmani: «L’amicizia e il rispetto sono necessari verso tutti i Paesi, ma inserire la Turchia in Europa mi sembra contraddittorio. Sono proprio la storia, la cultura e la religione ad aver disegnato il confine dell’Europa con la Turchia. Non si possono ignorare tutte queste cose». Se è vero, com’è vero, che incombe su di noi una minaccia di islamizzazione, non si vede perché mai si dovrebbe spalancare la porta dell’Europa a un Paese che non è mai stato europeo e che all’apice della sua potenza, in passato, ha ferocemente tentato di invaderci (l’Europa moderna è nata letteralmente opponendosi all’invasione turca). Un Paese, la Turchia, la cui democraticità è molto discussa, che oggi è governato da un partito islamico, che ancora reprime chi parla del genocidio armeno (il primo del Novecento: un milione e mezzo di cristiani armeni massacrati dai turchi). Con l’ingresso della Turchia nella Ue ci troveremo 70 milioni di islamici in casa. Più islamizzazione di così… Ma in queste ore un’altra voce si è fatta sentire, quella del nuovo capo della polizia Antonio Manganelli, il quale, alla Commissione Affari Costituzionali della Camera, ha affermato che il terrorismo internazionale «preoccupa perché l’Italia è oggetto di invettive». La stessa cosa, giorni fa, aveva detto, nella stessa sede, il capo dei Carabinieri, generale Siazzu. Manganelli indica – come fatto che deve allarmare – l’operazione che ha sbaragliato una presunta cellula che si muoveva attorno alla moschea di Ponte Felcino, a Perugia. «Il modo di operare dell’imam di Perugia», ha affermato il capo della Polizia, «è simile a quello riscontrato nei progetti degli attentati di Londra del 21 luglio 2005, dove non sono stati usati tritolo o dinamite, ma una miscela di prodotti chimici legali, come fertilizzanti e altro, acquistabili anche al supermarket». Il “caso Ponte Felcino” è molto istruttivo. Il paese, alla periferia di Perugia, ha 7mila abitanti e gli immigrati sono circa il 10% della popolazione. Una percentuale abnorme. È in miniatura l’esempio della società multiculturale che la sinistra invoca per il nostro futuro. Qua gli immigrati hanno trovato le porte spalancate che la sinistra indica come antidoto alla “guerra di civiltà”. Ma proprio qua, guarda caso, pochi giorni fa è stato arrestato, fra gli altri, l’imam della locale moschea per le imputazioni di cui hanno parlato tutti i giornali. Il gip giustamente ricorda che poi il giudizio spetterà alla magistratura. Ed è giusto essere garantisti con tutti. Va però sottolineato che questo imam, in pubblico, non si presentava affatto come un estremista. Il periodico “Quattrocolonne” (della Scuola di giornalismo che ha sede proprio lì), in un suo numero recente si era occupato proprio dell’immigrazione a Ponte Felcino. Si riportavano le dichiarazioni degli immigrati che chiedevano agli italiani di mostrarsi «aperti». E le risposte delle istituzioni che si fanno in quattro per «integrare», per favorire l’incontro, per «fare largo all’interculturalità». Secondo l’idea del “dialogo” cara alla sinistra che governa l’Umbria e a qualche gruppo cattolico, gli stranieri «sono una risorsa e non un problema». Su “Quattrocolonne” si parlava anche dell’imam di Ponte Felcino come di uno impegnato a favorire l’avvicinamento tra comunità musulmana e quella italiana. L’imam dichiarava che, con la Circoscrizione, «stiamo organizzando per aprile una manifestazione per pulire le sponde del Tevere che vedrà impegnati, fianco a fianco, immigrati e italiani». «C’è un muro di sfiducia», denunciava ancora l’imam, «nei confronti dei musulmani e questa barriera va abbattuta. La gente ha paura perché pensa che siamo venuti qui per rubare il lavoro. Si tratta di una falsità. Conto molto sull’opera dei musulmani italiani che frequentano la moschea. Il loro aiuto potrebbe essere determinante nel percorso di integrazione di noi musulmani stranieri nella vostra società».

LO STATO LATITANTE

Parole che acquisteranno un significato opposto se la magistratura accerterà la fondatezza delle accuse o la loro infondatezza. In ogni caso il problema immigrazione resta colossale, anche a prescindere dal fenomeno terroristico. Il gip di Perugia, Nicla Flavia Restivo, che ha firmato le ordinanze di custodia cautelare, ha pronunciato parole su cui riflettere seriamente: «A Ponte Felcino il controllo dello Stato è stato latitante per anni. Un intero quartiere di Perugia, che ufficialmente era territorio italiano, nella pratica era ed è un’isola». L’immigrazione può essere il “cavallo di Troia” dell’islamismo terrorista e anche dell’islamizzazione (due fenomeni da non confondere). Ma è pure un problema drammatico in sé quando è governato male. Secondo le rilevazioni dell’istituto americano Pew Research Center, condotto in 47 Stati, il 64% degli italiani ritiene l’immigrazione un enorme problema nazionale. È un primato mondiale. Ma la nostra classe di governo pensa l’esatto opposto e impone agli italiani la sua ideologia “immigratoria”. Originata da cosa? Dal disprezzo della nostra storia e della nostra identità? Da un (miope) calcolo elettorale? Da ideologia terzomondista? Forse da tutto questo condito dall'”ingenuità” irresponsabile denunciata da don Georg.
www.antoniosocci.it
LIBERO 28 luglio 2007