Contraddizioni di un’icona

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TUTTI GLI AFFARI SPORCHI DI LENNON IL PACIFISTA


L’ex Beatle faceva l’anticapitalista per i fan e i sui giornali ma si comprava le isole e incideva per la multinazionale Emi


 

La protesta paga. In dollari fruscianti. Anche a decenni di distanza. I fans smaniano per acquistare libri, berretti, bandiere, portacenere con l’effigie del loro divo preferito. Che Guevara è l’esempio classico. Ma adesso arriva John Lennon. Arruolato, sebbene sia defunto nel 1980, fra i pacifisti anti-Bush grazie al documentario “United States vs. John Lennon” di David Leaf e John Scheinfeld. Nessuno lo ha già visto. Sarà infatti presentato alla prossima mostra del cinema di Venezia. In compenso è già partita ma campagna pubblicitaria in grande stile. Prepariamoci a convivere con l’ex-Beatle per qualche tempo. Le città americane sono tappezzate di megaposter, in rete c’è già un sito con centinaia di pagine (www.theusversusjohnlennon.com), i negozi preparano i gadget. Qui da noi apre le ostilità il Magazine del Corriere con la storia di copertina firmata da Alessandra Farkas.Il documentario La vicenda raccontata dal documentario è molto semplice. Lennon è stato sorvegliato dall’Fbi per otto anni, dal 1972 fino alla morte. (Cosa nota da anni). Il motivo? Aveva criticato Richard Nixon, accusato di essere un guerrafondaio (nonostante abbia ritirato le truppe dal Vietnam, inviate in Indocina dal democratico Kennedy). Il presidente repubblicano se la sarebbe legata al dito al punto di voler «deportare» (così si legge sul sito) Lennon all’estero. Le icone si vendono bene. E John Lennon è un’icona perfetta. Era una popstar. Era pacifista. Era (un po’) anti-americano. Si è schierato accanto alle femministe. Si è fatto fotografare vestito da minatore col pugno alzato. Ha trascorso a letto una intera settimana per opporsi a ogni forma di violenza. Soprattutto ha scritto canzoni “impegnate”. Ad esempio “Workin’ Class Hero”, cioè “Eroe del proletariato”: «Ti continuano a dire “in vetta c’è spazio”/Ma devi prima imparare a uccidere sorridendo/Se vuoi gareggiare con la gente in alto/ Devi diventare un eroe proletario/ Se vuoi diventare un eroe, seguimi». Oppure Happy Xmas (War is Over), cioè “Buon Natale (la guerra è finita)”: «E allora buon Natale/Ai bianchi e ai neri/ Ai gialli e ai rossi/Poniamo fine a ogni guerra». O ancora la famosissima “Imagine”, Immagina, che potrebbe ambire al titolo di inno ufficiale del qualunquismo: «immagina che non ci siano nazioni/non è difficile farlo/niente per cui uccidere o per cui morire e neppure una religione/immagina tutta la gente/ che vive la propria vita in pace». Naturalmente stanno vendendo un John Lennon immaginario. E’ noto, e si può leggere in tutte le biografie, che il cantante non fosse un agnellino. Ad esempio, usava la prima moglie Cynthia come punching ball. (Abitudine in comune con Gandhi). Lui pare l’abbia lasciata con questa frase. «La mia ultima offerta sono 75 mila sterline. Per te è come vincere alla lotteria. Di che ti lamenti? Non vali un soldo di più». Lei ha commentato così il suo matrimonio: «La verità è che se avessi saputo, quando ero un’adolescente, a cosa avrebbe portato l’innamorarsi di John Lennon, avrei girato i tacchi e me ne sarei andata via». Anche il figlio Julian non ha buoni ricordi del, padre. Perché non l’ha mai visto. John ha girato alla larga dal primogenito per moltissimi anni. E’ anche risaputo che non si comportasse come un gentiluomo con i comprimari che non gli andavano a genio. Al punto che è nato un pettegolezzo che è senz’altro falso però indicativo. La morte per emorragia cerebrale del “quinto Beatle”, Stuart Sutcliffe, sarebbe la conseguenza di un pestaggio subito ad Amburgo, città in cui la band fece il suo esordio. In particolare, Stuart sarebbe stato ucciso da un paio di calci alla testa sferrati proprio dall’amico d’infanzia Lennon. (Questa almeno è la versione della sorella di Sutcliffe). Quanto alla passione per la classe operaia, il nostro la metteva volentieri in secondo piano quando si trattava di passare agli affari. Col pugno chiuso per i fanAggiungiamo pure che, prima di infilarsi sotto le lenzuola per il famoso bed-in pacifista, convocò un esercito di fotografi. Pacifismo ben reclamizzato, E mentre levava il pugno verso il cielo, con la mano libera si comprava un’intera isola in cui non risulta abbia mai ospitato “eroi proletari”. C’è anche il capitolo multinazionali: per chi credete che incidesse Lennon? Tecnicamente, per la Apple, etichetta di sua proprietà. Di fatto per la Emi, capitalista major discografica. Insonuna contestava il libero mercato ma nel libero mercato teneva entrambi i piedi. Ben saldi. Certo, i difetti dell’uomo (chi non ne ha?) non si possono usare come una clava per sminuire il valore delle opere. Però cosa resta di Lennon? Poco e niente. Le sue canzoni sono innocue. “Happy Xmas” è diventata la colonna sonora dello shopping natalizio. Non si fa a tempo a entrare in un centro commerciale che si è assaliti dalla predica con voce nasale di Lennon. Sfogliate un giornale, accendete la televisione, fate un giro in strada: il pacifismo di Lennon è un’arma spuntata. Appartiene a un’altra epoca, non ha più nulla da dire. Rispolverarlo è un’operazione politica grottesca (cosa non si inventa per dare contro a Bush) e commerciale. Soprattutto commerciale: io stesso non vedo l’ora di comprare la tazza di John Lennon, il socialista che fa guadagnare miliardi ai capitalisti.


Alessandro Gnocchi 
LIBERO 25 agosto 2006