Considerazioni di Mons. Fisichella

Monsignor Fisichella: non diremo mai di scegliere il no


«I cattolici sono chiamati a essere tanto intelligenti da non cadere in trappola, chissà perché si sta facendo di tutto per obbligarli ad andare a votare, non capisco. A meno che la ragione non sia essenzialmente pretestuosa…». 

Monsignor Rino Fisichella ha appena finito di esaminare gli studenti all’Università Lateranense («sono un po’ spaventati, sa, a diritto civile teologia è già abbastanza ostica e per di più sono pure il rettore!») e adesso riflette con chiarezza sul referendum e l’ipotesi di astensione, «non bisogna confondere i piani, i cattolici non stanno proponendo affatto un disimpegno, anzi, dopo la fecondazione, è inevitabile che l’altro grande problema sarà quello dell’eutanasia…».


Eccellenza, a proposito di disimpegno: per i cattolici esiste un «obbligo» morale ad andare a votare?


«Esiste senz’altro l’obbligo morale di impegnarsi perché ci sia una società più giusta e le leggi siano coerenti con i principi fondamentali della legge naturale, della solidarietà e del bene comune. E infatti i cattolici che fanno politica hanno come compito essenziale quello di testimoniare tali principi. Sull’obbligo di votare, però, bisogna distinguere».



In che senso?


«L’obbligo morale di partecipare attivamente alla vita politica del Paese implica l’uso di tutti gli strumenti che il legislatore ha messo a disposizione. E poi una cosa è quando ci sono elezioni politiche, amministrative o europee, un’altra quando si è invece chiamati a una consultazione referendaria».



L’astensione è prevista nei due casi…


«Io non sono un giurista, ma mi pare evidente non sia la stessa cosa votare dei rappresentanti del popolo perché facciano le leggi ed essere chiamati a esprimere un giudizio su una legge, specie se riguarda questioni di portata fondamentale che non possono essere risolte con un sì o un no».



Alcuni vescovi temono che non votare sia una scelta poco chiara, che ne dice?


«Ma come, più chiaro di così! Davvero, credo ci si possa accusare di tutto meno che di oscurità. Ripeto: questa legge non è ispirata ai principi del cattolicesimo ma è il meno peggio ci possa essere. Il nostro impegno significa anche un rispetto profondo per il Parlamento, non dimentichiamo che intorno a questa legge ha lavorato per sei anni. La cosa strana, piuttosto, è che si chieda di abrogare una legge quando ancora non c’è stato il tempo materiale di verificarne la correttezza. È inevitabile pensare a una volontà essenzialmente determinata da motivi ideologici»



Perché parlava di «trappola»? Il risultato non pare scontato, il sondaggio del Corriere mostrava equilibrio fra i «no» e i «sì»…


«Ma come si può pensare che questioni così fondamentali per il Paese e il suo futuro si possano giocare su proiezioni che per di più variano di pochi punti e hanno un’alta percentuale di incerti?».



E allora?


«Sicuramente non saremo di quelli che diranno di votare no. Saremo piuttosto fra coloro che diranno di conservare una legge non perfetta. Del resto non si tratta solo di questo…».



Che altro?


«Sono profondamente convinto che le leggi creino cultura, è successo per l’aborto e il divorzio e può succedere anche ora. Abbiamo il compito e la responsabilità di fare in modo che le giovani generazioni si formino su un concetto di rispetto profondo per la vita umana, dall’inizio alla fine. Dopo la fecondazione è inevitabile che l’altro grande problema sarà quello dell’eutanasia».



Galli della Loggia, sul Corriere , si interrogava sulla contraddizione di una Chiesa che ha difeso la vita ma non la morte, affidandola al responso di una macchina…


«È una tema complesso, ma una cosa è chiara: la donazione degli organi è accettata in virtù del principio della vita, non della morte. Alla fine, comunque, sia il discorso della fecondazione sia quello dell’eutanasia ruotano intorno a una questione che dovremo affrontare nell’immediato futuro, quella del diritto soggettivo: esiste un diritto a volere a tutti i costi un figlio, a decidere della propria vita e cosi via?».



C’è chi dice che in una società complessa, che comprende etiche differenti, ci vorrebbe uno Stato «minimo», che non interviene. Come nel caso della ricerca sulle staminali embrionali: è vero che ci sono altre strade di ricerca, sulle staminali adulte, ma perché precludersi una via?


«Io ritengo che lo Stato abbia una responsabilità: garantire che la ricerca custodisca come fine il bene comune e non sia strumentale. Se la scienza è indirizzata al bene di tutti tende a salvaguardare la dignità umana, altrimenti va contro se stessa. Del resto la scienza non è neutra, lo Stato non dovrebbe forse intervenire nel caso di una ricerca chimica che mettesse in pericolo la società?».



Eppure la questione è dibattuta, si è parlato di embrione come essere ancora in potenza…


«L’importante è non falsare i termini del discorso: possiamo aprire un dibattito sulla potenza e l’atto aristotelici ma nessuno può negare che l’embrione è una vita umana».
Pensa che in tutte queste discussioni sia mancato qualcosa, finora?
«Sì: la tranquillità. La possibilità di riflettere su questi argomenti con serenità. Non è detto che più si parli e più si comprenda, è necessario anche uno spazio di silenzio in cui ciascuno possa documentarsi e riflettere da sé».


Gian Guido Vecchi 


Da “Il Corriere della Sera” del 29 gennaio