Connivenze da brivido

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Mosca si accorda con Teheran


La Russia non voterà per le sanzioni all’Onu e la centrale sarà messa a punto. Europa conciliante.
C’è il pericolo che l’Iran abbia fatto shopping (nucleare) in Iraq…

VIENNA. In Iraq non ci sarà stata la bomba, ma dai magazzini pronti per l’uso di Saddam Hussein sta fuoriuscendo il necessario per fabbricarla. Camion sospetti di provenienza irachena sono stati segnalati e intercettati in Giordania, altri carichi pericolosi sono stati avvistati la primavera scorsa nei porti turchi. Al mercato nero nucleare si vendono strumenti e materiali di provenienza irachena, spesso di alta qualità (e ad altissimo rischio proliferazione) e il timore che a entrarne in possesso siano terroristi e Stati canaglia è più che fondato. Persino il solitamente cauto capo dell’Aiea, l’Agenzia atomica internazionale, Mohammed ElBaradei, ha lanciato l’allarme in una lettera al presidente del Consiglio di sicurezza, Sir Emir Jones Parry. Attraverso le rilevazioni degli ispettori l’Aiea ha individuato elementi radioattivi trasferiti fuori dall’Iraq, ma i materiali più pericolosi, i “dual use”, passibili di essere volti alla produzione d’armi di distruzione di massa, non sono ancora stati localizzati.
Il governo Allawi smentisce, dichiarando che i siti nucleari sono controllati e che nulla sarebbe sparito. ElBaradei non nomina i possibili acquirenti, ma tra i tanti segreti compratori il pensiero corre a Teheran. L’eventualità è ritenuta probabile dal giornale egiziano al Sha’b, secondo il quale l’Assemblea dei deputati avrebbe chiesto al governo di attivarsi per prevenire l’ingresso di materiale radioattivo d’origine irachena lungo il confine con la Giordania. Come puntualizza da Amman l’esperto Fuad al Khalili, la minaccia può essere rappresentata anche da materiali di scarto, ad alto contenuto d’uranio. Mentre tra niet e aperture, a un mese dalla nuova seduta dell’Aiea, perdura lo stallo sul programma nucleare iraniano, la Repubblica islamica rinsalda i legami con la Siria e rilancia la presa sull’Iraq.
Come nel caso degli scienziati iracheni riparati a Damasco e offerti a Teheran, è facile ipotizzare che la cooperazione con la dirigenza iraniana si estenda all’intermediazione di sostanze e strumenti proibiti. Ma Teheran non si contenta di delegare agli alleati e, sul versante iracheno, si prepara da settimane a una nuova offensiva. Secondo quanto riferisce al Washington Times dal suo esilio parigino l’ayatollah Jalal Ganje’i (affiliato a quel Consiglio nazionale per la resistenza ininfluente come forza di opposizione al regime, ma già provatosi attendibile con le rivelazioni sull’installazione nucleare di Natanz), 800 nuovi “pellegrini iraniani” sono entrati in Iraq. Prendendo a pretesto il mese di Ramadan, Teheran ha fatto entrare il suo cavallo di Troia, informatori, religiosi e studenti coranici di comprovata ortodossia khomeninista.
Dopo mesi di accuse d’interferenze in Iraq, di rimbrotti e aut aut della comunità internazionale sul programma nucleare e l’arricchimento dell’uranio, Teheran ha nuovamente motivo di rallegrarsi. L’accordo con Mosca per la messa a punto della centrale di Bushehr, come conferma il ministro degli Esteri Sergei Lavrov “è allo stadio finale” e la Russia ha reso noto che non appoggerà il deferimento del dossier iraniano al Consiglio di sicurezza e non voterà per le sanzioni. Il clima è più disteso anche con l’Ue: l’atteggiamento degli europei ha chiarito l’olandese Bernard Bot, è all’insegna “dell’engagement con un vasto numero d’incentivi”. E alla stessa politica gli europei stanno cercando d’iniziare ultimamente anche gli Stati Uniti, che secondo fonti dell’Amministrazione non hanno tutto a un tratto deciso di abbracciare la linea del soft power, ma per via delle elezioni abbassano i toni e rimandano le decisioni.


Il Foglio  – 13 ottobre 2004