Con i suoi “fino alla fine dei tempi“

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Povero Giuda. Anche stavolta ha toppato


di Antonio Socci


La risibile montatura del cosiddetto “Vangelo di Giuda”, un romanzetto gnostico e anticristiano del II secolo, ha entusiasmato i giornali sempre a caccia di pretesti per attaccare la Chiesa. Ma anch’esso – come il “Codice da Vinci”, un’altra grottesca bufala – in fondo dimostra una cosa sola: il fascino e la curiosità che la figura di Gesù continua a suscitare. Fra noi così laicizzati che poi però – come dice il recente “Rapporto Italia 2006” dell’Eurispes – ci diciamo cattolici (ben l’87 per cento degli italiani, l’8 per cento in più di 15 anni fa) e vogliamo che il crocifisso resti sulle pareti delle scuole (circa il 90 per cento). Fascino che forse è ancora più forte dove meno te lo aspetti. Come nelle terre islamiche.

Dove sta provocando un fenomeno nascosto di conversioni al cristianesimo. Fenomeno nascosto anche qua in Italia perché gli “apostati” e le loro famiglie sono addirittura a rischio della vita. «Noi musulmani convertiti al cristianesimo in Italia siamo in tanti» confidava uno di loro a Magdi Allam (Corriere della Sera del 3 settembre 2003) «dobbiamo aprire le catacombe! Quando ci sarà la libertà di culto anche per noi, vedrete quanti ne usciranno fuori!».
Il motivo di queste “pericolose” conversioni sta tutto nel titolo del libro di J.M. Gaudeul: “Vengono dall’Islam chiamati da Cristo“. Richiamati, affascinati da Cristo, che perfino nel Corano appare di gran lunga come il personaggio più suggestivo e commovente, come il più potente (può compiere miracoli) e come il più buono e misericordioso. Gesù esercita un’attrattiva sconfinata. “Vogliamo vedere Gesù”, così dicono un giorno a Filippo un gruppo di greci arrivati a Gerusalemme: avevano sentito parlare di lui e volevano incontrarlo, conoscerlo. In fondo sono le parole che descrivono gli uomini di tutti i tempi. Il nostro secolo è divorato dal desiderio di “saperne di più” su di lui. Ma spesso va a cercare questo “di più” fra i romanzeschi vangeli apocrifi (magari pompati per operazioni commerciali), anziché nei Vangeli. L’unico vero “vangelo nascosto” storicamente attendibile, scritto da testimoni oculari a ridosso degli eventi, è proprio quello di Marco, Matteo, Luca e Giovanni. Nascosto perché crediamo di conoscerlo e non lo conosciamo, forse neanche l’abbiamo mai letto.


LO SCOOP DEL VANGELO ARAMAICO
Oltretutto sotto il greco dei quattro racconti evangelici (ci sono pervenuti in questa lingua) da anni gli studiosi hanno scoperto la stesura originale in aramaico: la lingua parlata al tempo di Gesù. Un gruppo di esegeti da tempo lavora alla retroversione del testo greco dei Vangeli in aramaico. Hanno pubblicato già una decina di volumi. Recentemente la Rizzoli ha edito in italiano un libro che raccoglie – in maniera divulgativa, non specialistica – alcuni dei risultati di questo imponente lavoro. È firmato da uno degli studiosi della “Scuola di Madrid”, José Miguel Garcia e s’intitola “La vita di Gesù nel testo aramaico dei Vangeli“. Inizialmente questa retroversione doveva servire a capire alcuni passi oscuri dei Vangeli per i quali certi studiosi avevano attaccato la Chiesa. Poi, tornando all’originale aramaico, si è scoperto non solo il senso chiaro e limpidamente ortodosso di quei passi, ma anche una immensa ricchezza nascosta di parole pronunciate da Gesù che illuminano ancora più clamorosamente la sua personalità e il mistero della sua identità. È noto che certi critici hanno strologato a lungo teorizzando che “Gesù non fu mai consapevole di essere il Messia”. Garcia smonta questa tesi e dimostra come dai Vangeli autentici emerga chiaramente che Gesù non solo sa di essere il Messia, ma si identifica addirittura con Dio. Una pretesa unica nella storia umana. Alla fine lo proclama apertamente davanti al Sinedrio. È questa infatti la bestemmia per cui fu arrestato e processato: perché, dicevano i suoi accusatori, “tu, che sei uomo, ti fai Dio” (Gv 10, 33). Ed era proprio così, l’accusa era fondatissima: Egli, unico uomo nella storia, si identificava con Dio. Il dramma di questo annuncio – che cioè Dio si è fatto uomo, ma non viene riconosciuto e accolto – esplode negli ultimi giorni, col precipitare degli eventi. Ed è impressionante rileggere le pagine sulla Passione nel testo aramaico. Il momento dell’ultima cena è il più toccante, quello in cui Gesù manifesta la sua perfetta consapevolezza di ciò che stava per accadere e la sua volontà di prendere tutto il dolore del mondo su di sé. Nella traduzione attuale dei Vangeli egli dice: “ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia Passione” (Lc 22, 15). Ma l’originale aramaico che Garcia ritrova sotto la traduzione greca è ancora più impressionante: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questo agnello pasquale quando ero lontano da voi, lontano dalla mattina del mio venire incontro al patimento. Poiché vi dico: Quando io sarò mangiato come lui (= come questo agnello pasquale), il regno celeste di Dio giungerà alla sua pienezza“.


PER LA NOSTRA SALVEZZA?
Dunque Gesù designa la sua incarnazione come “la sua venuta incontro alla morte“. Cioè: Egli sa di essere venuto sulla terra per patire e morire al posto nostro. E quello che sconvolge ancora di più è il suo ardente desiderio di venire a pagare per tutti noi. Il testo aramaico fa capire bene “il desiderio di Gesù, già nella sua esistenza celeste” di “andare incontro alla morte” per instaurare il Regno di Dio e “sconfiggere il regno di Satana”, il regno del male, della violenza, del dolore. Da questi passi si capisce bene quanto siano destituite di fondamento le tesi di Bultmann e soci secondi i quali Gesù fu in grado di prevedere la propria morte, ma senza mai attribuire ad essa un potere salvifico. Illuminanti sono anche le parole che Gesù pronuncia dopo aver lavato i piedi ai suoi amici, investendoli del potere sacerdotale: Egli manifesta loro “la sua contentezza, poiché, grazie a loro, potrà morire nuovamente, bere di nuovo il calice che bevve sul Calvario” (è la Santa Eucarestia dei cristiani). Questa determinazione di Gesù nel prendere su di sé tutto lo scatenarsi di violenze e insulti e umiliazioni dei suoi carnefici è evidente da tutto il racconto della Passione, durante la quale Gesù subisce tutte le atrocità senza mai emettere un lamento, senza mai difendersi dai colpi brutali e dagli sputi e senza mai voler attenuare le sue sofferenze (infatti rifiuta la bevanda di aceto che doveva narcotizzarlo). Uno strazio consapevolmente accettato e vissuto fino in fondo, con una forza sovrumana, anzi uno strazio desiderato per liberare gli uomini dal male. Garcia poi dimostra anche l’attendibile storicità delle parole attribuite alla moglie di Pilato e dei resoconti della resurrezione, anche in riferimento alla sua “prova fotografica”, la Sindone. Ma la prova vera della resurrezione alla fine è l’incontro con lui risorto (Tommaso può addirittura mettere le dita nelle antiche ferite). È questo evento inaudito, la resurrezione (poi col dono dello Spirito, della forza di Gesù) che di colpo trasforma gli apostoli, terrorizzati, fuggitivi e nascosti, in un gruppo di temerari che annunciano a tutti la resurrezione, senza alcun timore, fino al martirio.


PROUDHON PROVA LA RESURREZIONE
Che Gesù, quel 9 aprile dell’anno 30, sia veramente risorto e da allora sia rimasto fra i suoi lo si può intuire anche con una realistica considerazione degli eventi. Perfino un mangiapreti come Proudhon, che però, da socialista, aveva una certa esperienza nell’organizzazione di movimenti umani, giunse alla conclusione che Gesù fosse veramente vivo fra i suoi, anche dopo l’esecuzione capitale. Non volendo accettare la notizia della resurrezione ipotizzò che fosse stato staccato dalla croce prima della morte e dalla clandestinità guidasse i suoi. Ma l’intuizione di Gesù vivo e presente è molto interessante. Ecco il suo ragionamento: “La rapidità della propaganda nazarena, dopo la morte apparente di Gesù, è un argomento di più in favore della sua presenza…. Meno di 40 anni dopo la morte di Gesù giungeva a Roma. Non appena queste comunità di credenti erano fondate egli diventava indistruttibile. Ora… sarebbe difficile spiegare la sua affermazione in sua assenza. Egli solo ha potuto salvare la sua opera… Egli solo ha potuto farla crescere dopo la dispersione del gregge… Pietro o Giovanni avrebbero saputo tener duro di fronte al dilagare di sette e di gnosi? Il pensiero fondamentale di Gesù ha trionfato su tutto… dunque dall’anno 29 all’anno 70 egli era presente”. In effetti quegli undici poveretti ebrei, senza cultura, denaro, mezzi e potere, non avrebbero mai potuto scatenare un simile incendio nell’impero romano. Proudhon ipotizza che Gesù, in quegli anni dal 29 al 70, “condannato a non farsi più vedere in pubblico e non potendo seguire i discepoli divenuti suoi successori” deve aver dato loro altre istruzioni per “sottrarsi in seguito ai loro sguardi, comunicare con essi solo di tanto in tanto e sparire poi del tutto”. L’intuizione di Proudhon – che Gesù dal 29 al 70 doveva per forza essere vivo e guidava la “conquista” cristiana del mondo – è del tutto razionale. Ma se fosse rimasto solo fino al 70 la sua opera sarebbe crollata subito dopo. Invece proprio dopo il 70 quella “conquista” è stata ancora più strepitosa e impressionante e dopo duemila anni abbraccia il mondo, con una forza e una sapienza di cui nessuno dei cristiani, dei vescovi o dei papi sarebbe mai stato capace. Dunque l’ipotesi più razionale – stando all’analisi di Proudhon – è che quell’Uomo sia ancora vivo e presente fra i suoi e ancora operi potentemente. L’ipotesi più ragionevole è che Gesù quel 9 aprile dell’anno 30 sia veramente risorto e sia con i suoi “fino alla fine dei tempi” non permettendo che le forze del Male prevalgano sulla Chiesa.
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Libero 15 aprile 06