Come funzionano i consultori

SE ABORTIRE E’ PIU’ FACILE CHE NON FARLO
Da Avvenire.it


La prima preoccupazione è di agire entro le 12 settimane previste dalla legge. Molta routine a scapito di un reale aiuto a tenere il bimbo


Da Milano Lucia Bellaspiga

Partiamo da oggi con un ampio giro d’orizzonte nei consultori pubblici per raccontare ciò che avviene in questi centri che, nati anche per essere presidi a tutela della maternità e della maternità responsabile – secondo quanto previsto dalla legge del 1975 – sono in gran parte diventati soltanto luoghi per la certificazione dell’aborto. Obiettivo del nostro lavoro anche quello di capire come si potrebbero inserire in questo contesto i volontari per la vita, secondo quanto già indicato dall’articolo 2 della “194”


Di consultorio in consultorio per tutta Milano, con una domanda, sempre la stessa: vorrei abortire, come devo agire? Lo abbiamo fatto ieri, con la sola intenzione di capire che cosa realmente accade quando una donna si presenta con questa “esigenza” nel luogo in cui, secondo la legge 194, riceverà aiuto per “superare le cause che potrebbero indurla all’interruzione della gravidanza”.
Un viaggio nel dolore e nell’imbarazzo di tante donne, cui ovunque la prima domanda che viene rivolta, di routine, è: «Ultima mestruazione?». Richiesta che ha il suo perché, (la legge consente l’aborto solo entro le 12 settimane di gravidanza), ma che, posta sempre e ovunque per prima, ha più il tono di sveltire una pratica ineluttabile che non di provare a trovare delle alternative. Chi ci accoglie è quasi sempre gentile, si vede che ha a che fare con casi umani spesso ai margini della disperazione, ma ovunque è costretto a presentarci il primo degli ostacoli: «Ci vuole un appuntamento, siamo oberati di lavoro. Però i casi come il suo hanno una corsia preferenziale». Ancora nessun accenno a vie alternative, alle forme di sostegno che darebbero una mano a tenere il bambino e a prenderne cura dopo la nascita. Eppure di fronte non ci troviamo una segretaria, infatti al telefono o all’accettazione troviamo sempre psicologhe o ostetriche che un sistema sanitario in deficit costringe a mansioni tutto-fare: «Non abbiamo più la centralinista, da temp o facciamo tutto noi», ci spiegano cortesemente nella sede centrale.
Per abortire il bimbo una corsia “preferenziale” la troviamo sempre, dunque… E viene da pensare a quando, giorni fa, ci siamo messi in lista d’attesa per un’ecografia per sospetto cancro: primo posto libero nel 2007, ci hanno risposto. Forse un bimbo è più pernicioso di un tumore, perché qui invece ci danno già appuntamento «vista l’emergenza»: ci spiegano che settimana prossima avremo il colloquio con l’assistente sociale o sanitario poi, il giorno stesso, la visita con il medico, da cui usciremo già con il certificato in mano. Tutto qui? Sembra troppo facile e proviamo a sondare meglio: «Sono confusa, temo di non sapere bene cosa voglio, in fondo è sempre un figlio, ho bisogno di parlarne con qualcuno, con chi mi dica quali altre possibilità mi restano, eventualmente mi faccia anche cambiare idea…». La risposta è sempre quella: il colloquio con l’assistente sociale, farà chiarezza. Un solo colloquio: ha del miracoloso… E a dubbi dissipati arriva il certificato medico, con cui si accede una settimana dopo alla sala operatoria. Insistiamo: ma se lo tenessi avrei dei supporti? «Non economici, glielo dico chiaro». E uno psicologo non lo incontro?. «Sì, se lo vuole c’è». Se lo voglio? Ma non è previsto sempre?. No, il medico dell’anima, quello che potrebbe agire sulla coscienza senza dimenticare la scienza, salta fuori solo nei casi estremi, «se l’assistente sociale dovesse cogliere una forte confusione».
Comunque, ribadiscono in tutti i consultori, «la decisione spetta solo a lei, solo la donna può e deve decidere cosa fare di suo figlio». E anche all’ultimo momento si può ancora cambiare idea, «qui nessuno la costringe ad abortire», mi aggiunge un’ostetrica in zona 2. Grazie, ma il punto non è questo, la prospettiva, anzi, è capovolta: noi cerchiamo qualcuno che ci “costringa” a pensarci bene, a lasciare la morte come ultima ratio, a preferire la vita. Rispettosamente, con delicatezza, in formando. Ma l’ostetrica è spiccia: «Se una donna non se la sente di essere madre è meglio che non lo diventi. Al di là di qualsiasi convinzione religiosa». Lo sta dicendo a una donna che, per quanto ne sa lei, è incinta, in prospetto di abortire e confusa: immaginiamo l’effetto che le sue parole avrebbero se il caso fosse reale.
Ma infine tra chi ci invita ad accelerare i tempi («Lei è già all’ottava settimana, si deve affrettare»), chi ci ricorda che dicembre non è l’ideale («Ci sono molti congressi». In che senso, scusi? «I medici sono via per convegni e riunioni»), chi rimpalla il nostro caso («In zona 3 l’hanno mandata da noi? Beh, allora anche noi siamo piuttosto pieni»), c’è anche l’eccezione ed è una psicologa: ci parla finalmente da subito di sostegno dei servizi sociali se teniamo il bimbo, di Centri di aiuto alla vita, del suo compito di informare la donna in modo che decida nella consapevolezza. E ricorda: «Quando avrà il certificato in mano, la norma prevede che le resti una settimana per riflettere». Accompagnata da voi, voglio sperare? «Beh, no, ma se ha ancora bisogno magari ci chiami». Questo è tutto.