Chiesa: unico baluardo alla disgregazione della famiglia

FAMIGLIA ED EVOLUZIONE

Trasformazioni e rischi di dissolvimento…

di Lucetta Scaraffia

“Vassene il tempo e l’uom non se n’avvede”. Il celebre verso dal IV canto del Purgatorio dantesco dà il titolo agli “Incontri celimontani”, organizzati dalle comunità monastiche benedettine camaldolesi a Roma. Il ciclo si apre nella serata di oggi, venerdì, al monastero di San Gregorio al Celio con una relazione di Lucetta Scaraffia sul tema “La famiglia è una tappa dell’evoluzione? Evoluzionismo e morale sessuale fra Ottocento e Novecento”, che l’autrice ha sintetizzato per il nostro giornale.

Nell’ultimo aggiornamento dell’Enciclopedia Italiana, alla voce “matrimonio”, Alessandra De Rose scrive: “Se appare lontana e forse, considerate le condizioni sociali e culturali, neanche opportuna l’introduzione di istituti “sconvolgenti” come il matrimonio tra gay, sembra invece più vicina la prospettiva del riconoscimento giuridico e della tutela per due persone che scelgono di condividere una parte importante della loro vita senza sposarsi”. Senza entrare nel merito delle questioni poste, vediamo qui ben esemplificata una concezione oggi corrente di famiglia: per molti, infatti, è un istituto in evoluzione, che è sempre cambiato, benché con ritmi molto lenti, e che oggi si sta muovendo rapidamente verso trasformazioni decisive in senso libertario. Trasformazioni che, se pure proposte con l’intento di allargare il concetto di famiglia per renderlo più “evoluto”, più adatto alla società moderna, di fatto conducono questa istituzione alla sua dissoluzione.
Se la famiglia non viene più riconosciuta dallo Stato come istituzione base che organizza la riproduzione della società ma solo come una delle tante possibilità di aggregazione fra esseri umani – o addirittura se si nega che la base necessaria a costituirla siano due esseri di sesso diverso, cioè due esseri che possono riprodursi – si comprende subito come diventi difficile credere a una sua continuità nel futuro. Si tratta, infatti di cambiamenti che toccano i pilastri stessi dell’istituzione familiare, che può, e deve, essere migliorata – come è avvenuto per esempio, in Italia, con la riforma del diritto di famiglia del 1975 – in senso democratico e ugualitario fra i membri, ma non toccata nella sua base costitutiva.
Per arrivare a proporre, e pensare realizzabili, i due cambiamenti indicati dalla voce dell’Enciclopedia Italiana è stata necessaria una profonda trasformazione culturale: cioè l’affermarsi di una concezione evoluzionista dei rapporti umani, anche di quelli che sembravano “immutabili” perché definiti dalla legge naturale, come era considerata la riproduzione e quindi la famiglia.
È necessario, quindi, fare un passo indietro nel tempo, per capire come e quando il paradigma darwiniano dell’evoluzione – nato, come ben si sa, per descrivere fenomeni scientifici – si sia esteso con successo alla vita sociale in generale e alla famiglia in particolare. Il concetto di evoluzione darwiniana, infatti, prevede una sorta di variazione continua, azionata da un motore cieco ma inesorabile: quello della selezione intesa come la sopravvivenza del più adatto. È ben noto come l’evoluzionismo abbia fornito un quadro concettuale e delle linee argomentative anche al di fuori del mondo naturale. Del resto, poiché in questo modo si ricollocava l’uomo all’interno della natura, negandogli un valore specifico e una diversità dal mondo animale, è ovvio che risultasse facile, se non addirittura opportuno, estendere dai fenomeni botanici e biologici ai meccanismi sociali l’ipotesi evoluzionista, che, considerata come una acquisizione scientifica indiscutibile, veniva a prendere aspetti di tipo dogmatico.
D’altra parte, se l’uomo non è qualitativamente diverso dagli animali, ma solo un animale più evoluto, cade anche l’idea che il suo comportamento sessuale e i suoi legami affettivi debbano essere sottoposti a leggi particolari. Soprattutto, cade l’idea che l’uomo abbia iscritta nel cuore una legge naturale, una concezione del bene e del male, superiore alle leggi positive, a cui deve obbedire. Diventa quindi una affermazione senza senso sostenere che debbano essere immutabili le leggi costitutive del matrimonio, quelle cioè relative al sesso degli sposi (diverso per permettere la fertilità) e alla cura dei figli, leggi che grazie a elementi del diritto romano avevano costruito il concetto cristiano di famiglia. In una concezione evoluzionistica del mondo, infatti, non ci sono più principi indiscutibili, ma solo forme di aggregazione che prevalgono perché più adatte.
Se l’uomo è un animale come gli altri, inoltre, il suo comportamento sessuale viene letto e studiato all’insegna di un appiattimento sulla natura chiuso a dimensioni etiche e spirituali. Il lungo lavoro della tradizione cristiana, che aveva trasformato il comportamento sessuale – inteso sia come castità che come vita sponsale – in un momento eticamente importante e in un nodo spirituale decisivo nel rapporto fra l’essere umano e Dio, viene cancellato in pochi decenni da medici sessuologi come Henry Havelock Ellis e, in Italia, Paolo Mantegazza, i quali considerano il sesso come un’attività naturale che solo il medico avrebbe il diritto di analizzare e regolare.
Naturalmente, un attacco alle regole di comportamento sessuale della morale cristiana diventa un attacco alla famiglia di matrice cristiana: la crisi della famiglia, a cominciare dalla fine dell’Ottocento, diventa quindi sia segno della secolarizzazione che avanza, sia essa stessa stimolo alla secolarizzazione. Molte sono le fonti che registrano come il distacco dalla confessione – primo passo per il distacco totale dalla pratica religiosa – avvenga proprio sui temi della morale sessuale, considerata superata e insostenibile dai cattolici stessi, come dimostrano del resto le aspre polemiche seguite alla promulgazione dell’Humanae vitae, nel luglio del 1968.
I nuovi sessuologi cominciano a sostenere il controllo delle nascite per fini eugenetici, per poi arrivare, quasi fatalmente, a proporre il “libero amore” e quindi la dissoluzione della famiglia. In una miscela che vede mescolarsi femminismo, positivismo ed evoluzionismo, all’inizio del Novecento compaiono le prime aperte dichiarazioni a favore di una “evoluzione” della famiglia che porti alla sua dissoluzione.
In Germania Helene Stocker (1869-1943) fondava nel 1904 un movimento di riforma sessuale con una serie di obiettivi: uguaglianza fra il marito, la moglie e i figli, maggiore facilità di divorzio e riconoscimento delle unioni di fatto, nonché diritti uguali per tutti i nati, a prescindere dall’origine; a questi si aggiungono una battaglia per la depenalizzazione dell’aborto e l’impegno per riconoscere alle donne la libertà di determinarsi autonomamente in materia sessuale. La Stocker, infatti, era fermamente convinta che il femminile non fosse naturalmente incline alla castità, e muovendosi in questa direzione divenne un’accesissima paladina del libero amore e di politiche a favore del controllo delle nascite. Nonostante queste posizioni l’avessero fatta entrare in conflitto con il più moderato movimento femminile tedesco, nel 1919, quando le donne ottennero il voto, la Stocker fu eletta fra le prime 34 parlamentari.
Molto simile il percorso della svedese Ellen Key (1849-1926), scrittrice e conferenziera di grande successo in tutta Europa negli anni che vanno dalla fine dell’Ottocento alla prima guerra mondiale. Femminista della prima ora, ed esperta di psicologia infantile, la Key sviluppò un’idea spiritualista dell’emancipazione femminile, che valorizza al massimo la maternità, scindendola però dall’obbligo del matrimonio. Il suo libro più famoso (e tradotto in tutte le lingue europee), L’amore e il matrimonio, uscì in Italia nel 1909 pubblicato dai fratelli Bocca. In questo libro, che conobbe grande fortuna anche in Italia, la Key esponeva la sua idea evoluzionista di morale sessuale, prevedendo la fine del matrimonio: la vita è una evoluzione continua, e “in conseguenza di ogni evoluzione muoiono certe verità che una volta erano ritenute vitali e se ne formano delle nuove”, per opera di una élite che sa cosa ci vuole “per la progressiva evoluzione della vita nell’individuo e nella razza”. Anche le donne dovrebbero quindi vedere riconosciuta la “libertà di scegliere entro certi limiti la forma della loro vita sessuale”.
La Key vede la libertà sessuale legata alla secolarizzazione, perché la considera impossibile “fintanto che l’uomo ha creduto al peccato originale” mentre “la teoria dell’evoluzione” ha dato all’uomo il coraggio di domandarsi se il peccato non consistesse piuttosto nel trionfo dello spirito sulla materia. Secondo la Key, fedele propagatrice dell’eugenetica, una nuova concezione morale “nasce dalla fede nella perfettibilità della razza umana”; anzi, “la forma della vita sessuale che favorirà meglio il progresso della razza, diventerà la legge della nuova morale”. In una visione chiaramente utopica degli effetti di questa nuova morale, la Key scrive che il matrimonio per obbligo e la prostituzione scompariranno un poco per volta, “perché essi non risponderanno più ai bisogni degli uomini dopo la vittoria dell’idea dell’unione perfetta”.
Bisogna quindi “trionfare del pregiudizio nutrito dal cristianesimo” con una nuova morale, “quella che si basa sulla bontà fondamentale della natura umana e sull’uguaglianza di tutti gli uomini”, perché sicuramente l’umanità sta per innalzarsi “alla superumanità”. La morale nuova si basa sull’idea che “la felicità dell’individuo sia la condizione essenziale per la felicità dell’umanità”, a patto però di sottoporsi ad un giudizio medico che assicuri che la coppia genererà un figlio sano, perché il dovere supremo è “non trasmettere ad altri le malattie gravi la cui eredità sia stata stabilita scientificamente”.
Il cristianesimo, secondo la Key, sarebbe responsabile anche di questa mancata selezione perché, “insistendo sul valore dell’individuo diminuì il sentimento dell’importanza della specie”, dal momento che, per ignoranza scientifica, “il solo legame che stabilisca fra l’uomo e i suoi antenati è il peccato originale”. Ma oggi, invece, grazie alla perdita di influenza della morale cristiana “il sentimento della razza, il rispetto per gli avi, l’orgoglio d’un sangue puro, con un senso nuovo riacquisteranno il loro potere decisivo sui sentimenti e sulle azioni”. Ma “fortunatamente – conclude la Key – la Chiesa ha perduto la battaglia nella sua lotta contro l’amore”, e rivendica quindi, come nelle sue numerose conferenze era solita fare, il diritto alla maternità senza matrimonio, ma non senza amore.
Si coglie immediatamente il sapore attuale delle frasi della femminista svedese, che sembrano anticipare quelle di molti nostri contemporanei: il suo successo, e i numerosi seguaci che ebbe in Italia, autori di libri simili, hanno gettato dei semi che hanno attecchito nella cultura occidentale. E questo anche perché i profondi cambiamenti economico-sociali che la rivoluzione industriale provocava nella società hanno trasformato completamente le condizioni di vita delle popolazioni dell’Europa occidentale. La mortalità – con la fine della moria per parto delle donne e dei neonati – subisce un crollo mai conosciuto nella storia, mentre la durata media della vita umana continua ad allungarsi. Questo ininterrotto incremento demografico non solo spinge alla diffusione degli anticoncezionali – ai quali la ricerca farmaceutica comincia a dedicare investimenti e attenzione – ma contribuisce a percepire la famiglia come un’entità in continuo mutamento.
Cambiano poi i rapporti fra le generazioni e quelli fra donne e uomini, cancellando secoli di rapporti familiari improntati sulla gerarchia, ma soprattutto, diffondendo la separazione fra sessualità e riproduzione, alterano quello che costituiva il nucleo forte del matrimonio, cioè la sua funzione riproduttiva. Con la rivoluzione romantica, del resto, il matrimonio si è trasformato da istituzione “pubblica”, funzionale alla continuità di un gruppo umano, in una speranza di realizzazione individuale, amorosa prima, e sessuale negli anni più recenti. Si è così cominciato a separare matrimonio da riproduzione, riproduzione da sessualità, e alla fine anche matrimonio da sessualità: si spiega così la recente idea che l’evoluzione della famiglia debba andare nel senso del riconoscimento delle coppie omosessuali.
La Chiesa, che non ha mai accettato la separazione fra sessualità e riproduzione, si presenta quindi come l’unico coerente baluardo alla disgregazione della famiglia, alla sua riduzione a un aggregato di rapporti senza norme, regolato solo dal desiderio dei singoli individui. Perché – e ormai lo sappiamo – non si è realizzato quello che scriveva Ellen Key nei primi anni del Novecento, cioè che la felicità dell’individuo è “la condizione essenziale per la felicità dell’umanità”. Prigionieri dei nostri desideri non sappiamo più distinguere fra cambiamenti positivi e cambiamenti distruttivi: a tal punto l’idea di una evoluzione che agisce come una forza cieca, a cui è inutile opporsi, deresponsabilizza tutti.
L’Osservatore Romano – 17 novembre 2007