Cattolici democratici contro Magdi Allam…

  • Categoria dell'articolo:Dal mondo

MAGDI ALLAM NEL MIRINO…

Magdi Allam deve aver sentito una mano di ghiaccio sul collo. Duecento intellettuali, persone gentili, molto cristiane, brave di penna, cattedratici stimati, predicatori di pace, incapaci di fare del male a una mosca, hanno firmato un manifesto contro di lui.

Si va da Agostino Giovagnoli, storico alla Cattolica di Milano, Alfredo Canavero che scrive per Avvenire, Guido Formigoni, studioso di cattolicesimo, fino al monaco Enzo Bianchi, che confeziona cristianesimo pret-à-porter e parla di “un solo Dio, molti modi per dirlo”. Ci sono anche Massimo Jevolella, autore di “Le radici islamiche dell’Europa”, e Alberto Melloni, lo studioso giovanneo che pensa che la chiesa cattolica, oltre che con il mondo, possa conciliarsi anche con i Fratelli musulmani. E ancora l’ebraista Paolo De Benedetti, a cui la rivista bazoliana Humanitas ha dedicato una monografia, il medievologo Franco Cardini, la poetessa Patrizia Valduga, l’egiziano Nasr Abu Zayd, il biblista Piero Stefani, che insegna dialogo con l’ebraismo all’Istituto di studi ecumenici di Venezia, e il filosofo della Cattolica di Milano, Franco Riva, autore di libri per le edizioni cattoliche Città Aperta.

La fucilata mediatica contro Allam è però diretta da un arabista dell’Università Cattolica di Milano, Paolo Branca, islamologo di riferimento dell’arcivescovo Dionigi Tettamanzi. Branca è presenza fissa sul settimanale della diocesi (Incrocinews), Famiglia Cristiana e Vita

1) Contro Magdi la fatwa dei compagni


2) La “crociata islamica” del docente di lingua araba


3) La crema del cattolicesimo democratico si schiera contro Magdi Allam



1)

Contro Magdi la fatwa dei compagni

di RENATO FARINA

Magdi Allam deve aver sentito una mano di ghiaccio sul collo. Duecento intellettuali, persone gentili, molto cristiane, brave di penna, cattedratici stimati, predicatori di pace, incapaci di fare del male a una mosca, hanno firmato un manifesto contro di lui. Lo sanno che cosa hanno fatto? Hanno la testa, insegnano all’università: si presume di sì. Tutti sanno che contro Allam sono state pronunciate sentenze di morte e c’è intorno a lui un vuoto sociale da macumba, al punto che è il giornalista più blindato del mondo. Tutti sanno meno loro? E allora perché si sono presi la briga di prendere in mano il foglio scritto da un arabista dell’Università Cattolica di Milano, Paolo Branca, e poi pensarci su, quindi metterci la firma, non prima di aver raccomandato l’adesione ad altri? Poi è successo che un tipo serio come Giancarlo Bosetti, ex vicedirettore dell’Unità, collaboratore di Repubblica, l’ha piazzato con enorme solennità sulla sua rivista Reset. Se fosse un foglietto da niente, un sito internet di insulti, sarebbe poca cosa. Ma l’altezza del luogo editoriale da cui si tira questo sputo profumato fa più paura. È un meraviglioso lasciapassare per criminali. Ma dove vive, anche lui? Che razza di crapa hanno queste persone, le quali si prestano a un gioco di società che somiglia a una roulette russa sulla tempia di uno che non la pensa come loro? Magdi, ovvio, si può avversare, criticare, come no, ma da quando in qua si usa sottoscrivere appelli contro un condannato a morte? Qui non è una semplice messa all’indice di un libro (“Viva Israele”, Mondadori), ma il rogo per il suo autore, visto come un kamikaze dell’Occidente (lo disegnò in questo modo Vauro con la compiacenza di Michele Santoro ad Anno Zero, Rai 2). Mi vengono in mente due faccende a guisa di precedenti storici antipatici. Gli appelli che circolavano al tempo di Stalin contro i fisici sovietici borghesi, per emarginarli dagli istituti scientifici e poi spedirli nei gulag. Erano inclini a credere alla teoria della relatività di Einstein, poi ci fu il contrordine compagni. I manifesti contro i cultori della linguistica borghese sempre al tempo di Stalin autore del mai abbastanza schifato “La linguistica e il marxismo” (1950). Quella era una pratica sovietica corrente. L’attacco personale, l’individuazione di un caso umano come incarnazione di una malattia ideologica nefasta. Non si attacca un sistema di pensiero, smentendolo con fatti precisi. Questo sarebbe la pratica corrente e legittima. Non è che siccome Magdi ha dei nemici mortali allora nessuno lo può attaccare. Ci mancherebbe. Ma siamo uomini o caporali che radunano una squadra di picchiatori? Stavolta si è individuata una persona e la si è trasformata nell’idea oscena del «giornalismo tifoso». Si piazzano due foto in pagina e gli si costruisce intorno un’intera rivista come un cordone sanitario dove contenerlo e avvilirlo. Viene in mente Luigi Calabresi. L’assalto delle menti che ha preceduto quello dei killer. Bobbio lucida le scarpe del sicario, senza saperlo, senza peraltro neanche accorgersene. Come per distrazione, ah questi intellettuali con la testa tra le nuvole… Tiriamoli giù dal cielo. Scendete, per favore, siete responsabili, siamo responsabili. Naturalmente, l’intenzione non è quella di bucare la pelle, la volontà di far del male non la sospettiamo neanche. Ma come somiglia tutto questo rigirio di fogli e di firme a quanto capitò nel 1971. Anche allora c’era una rivista rispettabilissima: l’Espresso. Allora furono 800 gli intellettuali che in nome della verità e del bene, a difesa della memoria di Giuseppe Pinelli, offrirono agli assassini il movente per agire contro il «commissario torturatore» individuato come il «responsabile della fine» di quell’anarchico: Luigi Calabresi. Ovvio. Le parole contro Magdi sono infinitamente più educate di quelle che a suo tempo furono dirette per abbattere Calabresi. Tra l’altro nessuno degli ottocento – che tuonavano contro il regime democristiano – ha avuto un solo contraccolpo nell’ascesa olimpica ai gradi più alti della vita culturale, politica e dei danèe. C’erano, oltre a Norberto Bobbio, Eugenio Scalfari, Umberto Eco, Federico Fellini, Giorgio Bocca, Margherita Hack, Tinto Brass amante del sesso solare ma anche dell’accusa infame, Furio Colombo, Paolo Mieli. Questi ultimi hanno chiesto scusa. Mieli in questa occasione ha fatto qualcosa di più, e bisogna riconoscerlo. Insieme con il suo vicedirettore Pierluigi Battista ha schierato il Corriere della Sera a difesa del proprio editorialista e vicedirettore Allam. È un segno molto importante. Ed è interessante per noi notare che tra i firmatari pugnalatori appaiono alcuni maestri del pensiero cattolico progressista, peraltro ascoltatissimi dai vescovi, e sicuramente dotati di apparati mentali possenti. Parlo di Enzo Bianchi, priore di Bose, redattore di un’altra lettera firmata dai vescovi piemontesi utile per silurare la candidatura del patriarca Angelo Scola a presidente della Cei, e di Alberto Melloni. Il primo firma su Repubblica, come primo teologo. Il secondo sul Corriere della Sera, e mantiene il privilegio di non essere citato da Battista tra i firmatari dell’Acthung Banditen! Il direttore di Reset, Bosetti, uomo simpatico e molto popperiano, è uno specialista nel coalizzare intellettuali contro personaggi sotto tiro da parte degli estremisti islamici, offrendo alla loro rozzezza argomenti fini. A Oriana Fallaci dedicò un pamphlet intitolato “Cattiva maestra”. Ora si è cimentato con Magdi. Gli dedica un articolo molto positivo, con astuzia getta contro Allam un libro di anni fa. Sarebbe come se Melloni o Enzo Bianchi scrivessero un articolo su Sant’Agostino elogiandone parole e gesta prima della conversione. Un’operazione infida. Infatti Bosetti infilza Magdi in un trafiletto dove lo definisce «un laico dell’Assoluto», un avversario del pluralismo, cultore dell’«ideologia che ha traversato gli ultimi due secoli lasciando uno strascico di morte, di cui è vivo il ricordo». Ehi, ma non eri tu il vicedirettore comunista dell’Unità? Robe da matti. Se permetti, caro Bosetti, tiriamo noi il tuo passato comunista sul tuo presente. Il vizietto dei libelli contro i nemici del popolo dev’esservi rimasto attaccato all’anima. Liberali sì, ma del Volga. .

LIBERO 20 luglio 2007

2)


La “crociata islamica” del docente di lingua araba

di ANDREA MORIGI

Si nasconde sotto le apparenze di una devota invocazione, rivolta ai «carissimi colleghe e colleghi» dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il “j’accuse” contro Magdi Allam. Un mesetto fa, con una letterina rivolta a docenti, ricercatori e accademici vari, il professore di Lingua araba Paolo Branca alza il tiro contro il giornalista egiziano. Ci tiene a distinguere la vicenda personale che lo riguarda da quella che presenta come una levata di scudi a salvaguardia della fede cristiana: «Se si trattasse soltanto di difendermi da pur false e infamanti accuse, non oserei coinvolgervi. Ma purtroppo sia implicitamente l’Istituzione a cui appartengo, ed esplicitamente la Diocesi Ambrosiana, vi sono coinvolte». In pratica, la vicenda è presentata in modo tale da indurre a pensare che chi critica Branca si rende allo stesso tempo colpevole di un attacco contro Santa Romana Chiesa. Va da sé che non reagire comporterebbe un peccato d’omissione. Ma è lo stesso Branca a offrire la via d’uscita per la salvezza dell’anima: «Per chi volesse sottoscriverlo, unisco anche il breve testo di un appello al quale hanno già aderito molti e che ha unicamente lo scopo di proteggere un lavoro serio e paziente (che per quanto mi riguarda è, oltre che una professione, una vera e propria missione che cerco di compiere – pur con tutti i miei limiti – al servizio della Chiesa e della Comunità) da attacchi non solo aggressivi, ma soprattutto ingiusti e controproducenti». Chi firma ricava così l’impressione di partecipare a una crociata per la custodia dei luoghi santi milanesi: l’ateneo di largo Agostino Gemelli e l’episcopio di piazza Fontana. Coloro che non firmano invece – e sono la stragrande maggioranza – ritengono che il testo dell’appello sia ambiguo e ne trova condivisibile soltanto una frase: «Nel suo ultimo libro, Magdi Allam, scrive che le università italiane “pullulano” di docenti “collusi con un’ideologia di morte profondamente ostile ai valori e ai principi della civiltà occidentale e all’essenza stessa della nostra umanità”». Una categoria vasta, anche se non ancora così potente da proclamare il boicottaggio delle Università israeliane, come avviene nel Regno Unito. Ma nel 2005 all’Università di Torino, pur invitato dalla professoressa Daniela Santus, il vice ambasciatore di Israele in Italia Elazar Cohen fu contestato dagli estremisti dei centri sociali. E alla prof. Santus non fu espressa nemmeno la solidarietà dal Senato accademico, che la accusò invece di «ingenuità» per non aver fatto entrare i manifestanti in aula. Ma la libertà di espressione è a rischio anche alla Cattolica di Milano, se una cinquantina di suoi appartenenti hanno firmato il commovente appello di Branca. Del resto, vi si propaganda già l’insegnamento dell’arabo – non l’italiano – agli extracomunitari allo scopo, paradossalmente, di facilitarne l’integrazione. Branca, che è il punto di riferimento di quel progetto pedagogico, non ammette critiche sul tema. E non tollera nemmeno, scrive su “Vita”, i rilievi mossi sul video prodotto dal Centro Documentazione Mondialità della Diocesi di Milano, destinato agli insegnanti e agli studenti delle scuole lombarde. Magdi Allam, invece, vi scorgeva «un’immagine del tutto idilliaca dell’Islam e dei musulmani» e accusa: «Il filmato ha come principale protagonisti alcuni esponenti dell’Associazione Giovani Musulmani d’Italia collegata all’Ucoii a sua volta espressione ideologica dei Fratelli Musulmani». Ormai si sa. Guai a toccare i fondamentalisti nostrani. Soprattutto se ci si schiera con il loro nemico mortale, Israele.

LIBERO 20 luglio 2007

3)

La crema del cattolicesimo democratico si schiera contro Magdi Allam.

Branca, Melloni, Bianchi e gli altri dell’appello di Reset

di Giulio Meotti

C’è dentro di tutto nell’appello di Reset contro Magdi Allam e firmato da oltre duecento intellettuali. Il mensile di Giancarlo Bosetti si è inventato un nuovo format, il “resettismo”, cioè se l’islam moderato non esiste, io me lo invento. La “messa all’indice” di Allam, come l’ha correttamente definita Pierluigi Battista sul Corriere della sera, l’attacco ad personam al giornalista arabo sotto scorta da quando su Repubblica svelò la guerra contro gli ebrei propagata dalla moschea di Roma, è sostenuta da numerosi intellettuali cristiani à la page e da rappresentanti del cattolicesimo democratico.

Si va da Agostino Giovagnoli, storico alla Cattolica di Milano, Alfredo Canavero che scrive per Avvenire, Guido Formigoni, studioso di cattolicesimo, fino al monaco Enzo Bianchi, che confeziona cristianesimo pret-à-porter e parla di “un solo Dio, molti modi per dirlo”. Ci sono anche Massimo Jevolella, autore di “Le radici islamiche dell’Europa”, e Alberto Melloni, lo studioso giovanneo che pensa che la chiesa cattolica, oltre che con il mondo, possa conciliarsi anche con i Fratelli musulmani. E ancora l’ebraista Paolo De Benedetti, a cui la rivista bazoliana Humanitas ha dedicato una monografia, il medievologo Franco Cardini, la poetessa Patrizia Valduga, l’egiziano Nasr Abu Zayd, il biblista Piero Stefani, che insegna dialogo con l’ebraismo all’Istituto di studi ecumenici di Venezia, e il filosofo della Cattolica di Milano, Franco Riva, autore di libri per le edizioni cattoliche Città Aperta.

Ci sono anche il gran censore Angelo D’Orsi e il mistico Gabriele Mandel, che fantastica su come nell’islam l’inchiostro del dotto valga di più del sangue del martire.

La fucilata mediatica contro Allam è però diretta da Paolo Branca, islamologo di riferimento dell’arcivescovo Dionigi Tettamanzi e di quel mondo milanese che denuncia la perdita del senso dell’“altro”, quando in realtà ha perso quello di sé.

Orientamento margheritico, arabista alla Cattolica di Milano, dove è sostenuto molto da Sant’Egidio, Branca è presenza fissa sul settimanale della diocesi (Incrocinews), Famiglia Cristiana e Vita. Teorico della contaminazione delle culture, Branca è fautore del modello “interculturale”, quello che ha partorito l’idea di un “catechismo islamico” e che si porta bene all’Infedele di Gad Lerner (“lavoriamo perché il nostro mondo diventi un grande laboratorio interculturale”). A domanda sugli attentatori del 7 luglio 2005, Branca ha risposto puntando il dito contro i “fenomeni di razzismo ed esclusivismo”. Esperto di abbassamento dei toni, dopo gli attentati di Sharm el Sheikh ha detto che “sta a noi andare nel centro islamico più vicino, varcare la soglia delle loro case per esprimere la nostra solidarietà”.

Ha proposto di insegnare lingua araba alle elementari e fu protagonista di un’equivoca “Giornata del dialogo CristianoIslamico” del novembre 2001, assieme allo sponsor dell’islamista Tariq Ramadan, il sociologo Stefano Allievi, e il leader dell’Ucoii Hamza Piccardo. .

Contro la proposta di Allam a favore dei cristiani martoriati Branca disse: “Il successo gli ha fatto perdere il senso della misura”.

Su Repubblica ha paragonato il trattamento dei musulmani milanesi a quello degli ebrei tedeschi durante il nazismo. Branca è stato lo sponsor della scuola di via Quaranta, la madrassa dove si studiavano arabo e sure e si trasformavano gli studenti in pupilli coranici. Ne fu il garante davanti alle istituzioni fino allo scoppio del caso, il 30 agosto 2005. Legato ad Abdel Hamid Shaari, il presidente dell’istituto culturale islamico di viale Jenner, Branca faceva parte di un giro cattoprogressista assieme a Lidia Acerboni, attuale direttrice di via Ventura, Sandro Antoniazzi e Milena Santerini di Sant’Egidio, tutti ulivisti che tentarono di rendere “presentabile” la scuola.

Fallito il modello via Quaranta, Branca ha introdotto nella Cattolica un “Laboratorio interculturale”, un corso rivolto agli insegnanti che sarebbero dovuti andare nelle scuole a fare ore integrative di islam. Al termine è stato realizzato un dvd, “Conosciamo l’islam”, storie minimaliste di percorsi d’integrazione ben riusciti, dalla ragazza che porta il velo a scuola e fa l’educatrice in oratorio, al giovane immigrato che lavora duro e si compra casa. Nel dvd ci sono interventi di Branca, Allevi, Cardini, il saltimbanco Moni Ovadia e il biblista martiniano Gianfranco Ravasi. La ragazza che porta il velo e va in oratorio è quella Sara Orabi che a “Porta a Porta” giustificò la lapidazione delle adultere.

Commentando le invocazioni contro lo stato d’Israele dell’imam Moussa di Roma, Branca ha detto che “sulle questioni prettamente politiche, come Cecenia e Palestina, le parole dell’imam possono trovare consenso unanime”, non sembrano contenere inviti espliciti al terrorismo, sono “allarme culturale, più di natura religiosa che politica”.

Di fronte a tanta sensibilità interculturale, non è difficile capire da che parte bisogna stare. Con Magdi Allam. E la sua “tifosa” apologia dello stato d’Israele, pegno che l’islamismo vuole far pagare all’occidente.

Il Foglio 21 luglio 2007