«Casini» in casa Udc

Casini e lo sfregio ai vertici della Chiesa

L’Udc-Casini si allea prima con la Bresso in Piemonte e poi anche con Burlando in Liguria. Provocando così una certa irritazione negli ambienti ecclesiastici e non solo. E non a torto. La Regione Liguria, ad esempio, ha approvato da poco una legge con le «Norme contro le discriminazioni determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere» in cui si equiparano le famiglie fondate sul matrimonio a quelle omosessuali nell’accesso, ad esempio, ai servizi abitativi. Secondo autorevoli indiscrezioni, Ruini avrebbe parlato con il segretario del partito, Lorenzo Cesa, nel tentativo di far rientrare l’appoggio a Burlando, ma invano… Sarà bene tenerne conto al momento del voto, proprio per evitare ulteriori «casini»…

di Andrea Tornielli
 
Bisogna rileggere con attenzione le parole pronunciate lunedì scorso dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei quando, al termine della sua prolusione al Consiglio permanente del vescovi italiani, ha parlato del suo «sogno» di una nuova classe di politici cattolici, per comprendere quanto tesi siano in questo momento i rapporti tra l’Udc di Pier Ferdinando Casini e i vertici della Conferenza episcopale. Uno dei nodi venuti al pettine è il sostegno del partito di Casini al candidato del centrosinistra per la Regione Liguria, Claudio Burlando, già presidente uscente. Un apparentamento che arriva in una regione del cui capoluogo è arcivescovo lo stesso Bagnasco, al quale il testimone è stato passato nel 2006 dal cardinale Tarcisio Bertone, chiamato in Vaticano quale «primo ministro» di Benedetto XVI. Si tratta, insomma, della città (e della regione) che ha avuto e ha per vescovi metropoliti i due porporati più in vista e più esposti per ragioni d’ufficio nel rapporto con la politica italiana.
La vicenda, che il Giornale è in grado di ricostruire, presenta retroscena più complessi di quanto possa sembrare a prima vista. Lo scorso autunno, Casini avrebbe chiesto a Bagnasco un parere e una sorta di via libera all’apparentamento. L’arcivescovo non avrebbe detto di no, mostrandosi prudentemente possibilista, anche in considerazione del rapporto tutto sommato buono che lo legava al presidente della Regione Burlando, il quale ha voluto un rappresentante della Curia genovese nella Fondazione Carige e nei mesi scorsi, nonostante il parere contrario della sinistra radicale, ha provveduto a stanziare i fondi regionali per gli oratori previsti dalla legge varata al tempo della giunta di centrodestra. E Casini si è così affrettato a comunicare questo via libera, filtrato anche sulla stampa, con la gratitudine di Burlando, divenuto così anche candidato dell’Udc.
Di lì a poco, però, a fine ottobre, la Liguria, seconda regione a farlo dopo la Toscana, ha approvato una legge con le «Norme contro le discriminazioni determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere». Una legge che non è piaciuta alla Curia genovese, non nelle parti in cui si afferma la giusta necessità di combattere l’omofobia e le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale, quanto piuttosto in quelle nelle quali di fatto si equiparano le famiglie fondate sul matrimonio a quelle omosessuali nell’accesso, ad esempio, ai servizi abitativi. Non è un caso, dunque, che uno dei primi tre punti programmatici del candidato presidente sostenuto dal centrodestra, il cattolico Sandro Biasotti, sia proprio la revisione della legge regionale sull’omofobia.
Anche da Oltretevere, a questo punto, sarebbe stata manifestata qualche preoccupazione per l’apparentamento dell’Udc con la sinistra in Liguria. In extremis, per tentare di convincere Casini a fare dietrofront, è sceso in campo il cardinale Camillo Ruini, l’ex presidente della Cei ed ex Vicario del Papa, che è stato uno dei principali sponsor dell’Udc e ha fatto il possibile perché, in occasione delle ultime elezioni politiche, il partito di Casini fosse alleato con il centrodestra. Secondo autorevoli indiscrezioni, Ruini avrebbe parlato con il segretario del partito, Lorenzo Cesa, nel tentativo di far rientrare l’appoggio a Burlando. Ma ormai era troppo tardi.
Anche alla luce di questi avvenimenti vanno dunque lette le parole del cardinale Bagnasco, che lunedì scorso ha parlato del suo «sogno a occhi aperti» di una «generazione nuova» di italiani e di credenti «che avvertono la responsabilità davanti a Dio come decisiva per l’agire politico». Politici che incarnino gli ideali cristiani e li traducano nella storia «non cercando la via meno costosa della convenienza di parte comunque argomentata, ma la via più vera, che dispiega meglio il progetto di Dio sull’umanità, e perciò capaci di suscitare nel tempo l’ammirazione degli altri, anche di chi è mosso da logiche diverse». Parole che avevano ben presente quanto avvenuto nelle ultime settimane con gli apparentamenti a scacchiera dell’Udc.
Il Giornale sabato 30 gennaio 2010
 
 

E in cambio delle poltrone Pier infila nel suo forno pure comunisti e abortisti

 
I centristi si alleano in quattro regioni con la sinistra e finiscono insieme a Rifondazione, Radicali e No Tav
 
di Paolo Bracalini
Centristi falce e martello. Ma chi lo spiega ai cattolici elettori di Casini che se vincessero i candidati sostenuti dall’Udc, nei consigli regionali e negli assessorati di quattro regioni finirebbero i loro peggiori nemici: comunisti, abortisti, vendoliani, promotori di moschee, nemici del crocifisso, teorici delle coppie di fatto, dei matrimoni gay e di altre ricette indigeste per gli stomaci moderati? Toccherebbe proprio a lui, a Casini, anche se finora il leader si è occupato d’altro: tessere la tela delle cosiddette «alleanze variabili» o, con altra metafora da Prima Repubblica, accendere le caldaie per i due o tre forni elettorali in cui cuoce il tatticismo degli ex democristiani. Il segretario Cesa ha respinto le accuse di opportunismo elettorale: «Tutti parlano di due forni, io parlo di coerenza». Il principio delle alleanze udiccine in effetti è molto razionale: correre da soli dove non si è influenti e quindi non si ha potere contrattuale (per esempio in Veneto e Lombardia dove è scontata la vittoria del centrodestra, o in Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna dove tradizionalmente sbanca il centrosinistra). Alleati invece con l’uno o con l’altro nelle regioni in bilico, a seconda di chi sia favorito: il Pd in Liguria e in Piemonte (anche se di poco), il Pdl in Calabria e forse Campania. Mettendo in campo, però, una serie di relazioni molto pericolose.
Si prenda il caso di scuola: il Piemonte. L’inedita accoppiata non è solo tra i bacchettoni dell’Udc e i laicisti della Bresso, ma anche tra centristi e Radicali, insomma il diavolo con l’acqua santa. La lista Bonino-Pannella fa parte della coalizione in cui si ritrova anche l’Udc, un amalgama multicolore che si allarga in tutti i sensi pur di sommare voti: dai Verdi anti-nucleare (mentre l’Udc è pro-nucleare) ai Comunisti anti-Tav (mentre i casiniani sono pro-Tav) ai pannelliani pro-Ru486 (la «pillola assassina» per l’Udc), all’Idv di Di Pietro (che sull’Udc parla di «politica da meretricio»…). I Comunisti hanno già un posto nel listino del presidente, la quota cioè di consiglieri eletti con il governatore in base al premio di maggioranza. In cambio l’Udc avrebbe incassato la vicepresidenza della Regione e almeno un assessorato pesante, probabilmente la Sanità. Si vocifera anche di parenti in lista. Il quotidiano online Affaritaliani scrive che uno degli assessori in quota Udc potrebbe chiamarsi Caterina Bima, «famosissimo notaio di Torino nonché compagna del vicesegretario nazionale dell’Udc, Michele Vietti». Il figlio dell’onorevole udiccìno Teresio Delfino, papabile vicepresidente della Regione in caso di vittoria, sarebbe invece – sempre secondo il quotidiano web – piazzato come candidato al consiglio regionale.
Ma la stessa elasticità politica («alla Fregoli», direbbe Carlo Giovanardi) viene sfoggiata dall’Udc anche in Liguria, dove i casiniani, custodi dei valori cattolici e della famiglia, appoggiano il governatore uscente Claudio Burlando (Pd), ritrovandosi così a braccetto con la sinistra scalmanata che – tra le altre cose – sponsorizza la costruzione di una moschea a Genova, mentre l’Udc locale ha addirittura raccolto firme per dire no. Nella stessa accolita elettorale ci sono i Comunisti, Rifondazione comunista, i Socialisti, l’Idv di Tonino, i Verdi. Qui la contropartita però è altrettanto golosa: l’assessorato alle Attività produttive già prenotato dal coordinatore regionale del partito, e in più forse un rimpasto al Comune di Genova, dove l’Udc (che ora è all’opposizione) entrerebbe nella spartizione del potere come premio per l’appoggio regionale.
Nelle Marche, terza regione in cui l’Udc si butta a sinistra, i due forni dell’Udc sono ancora più sorprendenti. Lì i centristi sono all’opposizione da quindici anni, e lo sono tuttora. Eppure tra due mesi sosterranno il governatore uscente Gian Mario Spacca (Pd), a cui fanno opposizione in Regione e contro cui avevano espresso un candidato alle precedenti elezioni regionali. «Per due strapuntini hanno svenduto i loro valori, ideali e storia» dice Remigio Ceroni, deputato marchigiano del Pdl e coordinatore regionale. Gli «strapuntini» sarebbero la vicepresidenza e un assessorato importante, quanto basta per il papocchio elettorale. Anche se si tratta di convivere con la Sel (Sinistra e libertà) di Vendola, e molto probabilmente anche con Pdci e Rifondazione comunista. Stesso schieramento variopinto che si ritrova in Basilicata, quarta e ultima regione dove l’Udc è in versione falce e martello. A fargli compagnia c’è anche l’Api di Rutelli, tutti insieme con Rifondazione, Pdci, vendoliani e Idv. Il 6 per cento dell’Udc, qui come altrove, può servire. Purché alla fine non sia Casini a finire scottato dai suoi stessi forni.
Il Giornale sabato 30 gennaio 2010