Cardinal Martini, l’Espresso e le perplessità del kattoliko…

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I «PERÒ» DI MARTINI


e i nostri «ma»…


di Rino Cammilleri


 

Quando spuntava Fanfani, Montanelli diceva «arieccolo». È la prima cosa che viene in mente guardando la copertina dell’Espresso in edicola il 21 aprile 2006. Si poteva titolare «A grande richiesta, il ritorno di». In fondo, le elezioni le ha vinte Prodi (si fa per dire, naturalmente, perché più che vincere pare sia rimasto col cerino acceso in mano), ed era logico riesumare il nume tutelare, il gran punto di riferimento dell’area dei cattolici di centrosinistra, soprattutto di quella «scuola di Bologna» di cui Prodi è espressione politica.
Parliamo del cardinal Martini, quello che voleva un terzo concilio Vaticano perché il secondo gli è parso insufficiente, quello che (dicono, ma non ci credo) fu lì lì per diventare papa al posto di Ratzinger. Forse avrebbe assunto il nome di Dialogo I, se eletto, poiché quel che si legge sul settimanale sembra la versione porporata di Prodi: toni pacati, aria paciosa, luci soffuse, niente scontri per carità, dialogo, dialogo, dialogo.
Come ha benissimo centrato il nostro Robi Ronza proprio su queste pagine, nella sua rubrica «Prisma» di lunedì scorso, l’area di riferimento è esattamente quella che esprime «un’esperienza cristiana incapace di diventare cultura, visione del mondo, e perciò obiettivamente ridotta a una semplice morale». Morale fiscale o sessuale, come nel caso della lunga conversazione sulla bioetica che il Cardinale tiene sull’Espresso col bioeticista Ignazio Marino. L’unica cosa recisa e decisa è questa: non bisogna adottare «giudizi apodittici» ma il dialogo. Certo, no all’aborto, no all’eutanasia, no all’uso sperimentale degli embrioni. Ma «là dove per il progresso della scienza e della tecnica si creano zone di frontiera o zone grigie» è bene «astenersi anzitutto dal giudicare frettolosamente e poi discutere con serenità, così da non creare inutili divisioni». In effetti, i giudizi apodittici creano sempre divisioni; quanto siano «inutili», però, sarebbe da discutere.
Ma soffermiamoci su quell’«apodittici», che tanto orrore incute.
Devoto-Oli, voce corrispondente: «Di ciò che filosoficamente, essendo evidente di per sé, non ha bisogno di dimostrazione, o se dimostrato è logicamente inconfutabile». Dunque, per l’amor del cielo, niente apodittica, perché, com’è noto, la Chiesa esiste solo per il dialogo urbi et orbi, oves et boves, sennò ci sta che la Rosa nel Pugno si arrabbi e allora sai che apocalisse. Dice il Nostro, a proposito dei casi-limite: «Sarei prudente nell’esprimermi su quei casi dove non è possibile ricorrere al seme o all’ovocita all’interno della coppia. Tanto più laddove si tratta di decidere della sorte di embrioni altrimenti destinati a perire». Ovviamente, prudenza nell’esprimersi non vuol dire non esprimersi affatto, e per quante circonvoluzioni si possa usare, per quanti condizionali, per quanti «forse» e «quasi», prima o poi l’apoditticità ci scappa.
In effetti, ogni abortista invoca situazioni-limite, ed è difficile convincere chi intende ricorrere all’aborto che la sua non è una situazione-limite. Ma il Nostro si riferisce ai casi, per esempio, «in cui un feto minaccia gravemente la vita della madre». Caso che, per lui, andrebbe esaminato a parte, giacché gli sembra «difficile che uno Stato non intervenga» a parare un eventuale Far West.
Ora, noi non siamo degli esperti di teologia morale, ma ci sembra che proprio in un caso del genere la Chiesa sia stata e sia apodittica, visto che canonizza gente come Gianna Beretta Molla, medico che si trovò effettivamente a dover scegliere tra la vita del feto e la sua. Tuttavia, del ricorso all’apoditticità quando serve non sa fare a meno neanche Martini: «Certamente l’uso del profilattico può costituire in certe situazioni un male minore». In quali, Emine’? In caso di stupro? Ma ce la vede la vittima dire al malintenzionato: se proprio insisti, almeno mettiti il condom? O forse ci si riferisce alla moglie che dovrebbe assolvere al debito coniugale con un marito notoriamente infetto? Il meglio del cerchiobottismo si ha comunque sull’eutanasia: «Non si può mai approvare il gesto di chi induce la morte di altri, in particolare se è un medico». Però c’è un però: «Tuttavia neppure io vorrei condannare le persone che compiono un simile gesto su richiesta di una persona ridotta agli estremi e per puro sentimento di altruismo come pure quelli che in condizioni fisiche e psichiche disastrose lo chiedono per sé». Ah, no?


Il Giornale n. 95 del 22-04-06 pagina 1