CERVELLI OBESI

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La Monticone generation ci riprova, ma non sono più i tempi del divorzio


Un documento firmato da ex presidenti Fuci e Ac e da laici. Echi del vecchio scontro tra progressisti e bioetici

“Non siamo cattolici del dissenso, siamo una generazione cresciuta all’interno del mondo cattolico degli anni 80, con maestri come Alberto Monticone (presidente dell’Azione cattolica dal 1981 al 1986 e ora senatore della Margherita, ndr). Siamo figli dell’esperienza conciliare di cui abbiamo introiettato concetti come democrazia, laicità, mediazione. E proprio questi concetti ci hanno indotto a scrivere, assieme a esponenti laici e della sinistra questo documento”. Rivendicazione esplicita quella di Giovanni Colombo, provenienza Ac, oggi consigliere comunale diessino a Milano e presidente dell’associazione Rosa Bianca, una “palestra culturale”, invero di nicchia, per cattolici progressisti e laici.
Colombo è tra i sessanta firmatari di un documento a favore dei “sì” ai referendum sottoscritto da esponenti di sinistra (Miriam Mafai, Michele Salvati) e da cattolici, frutto di una bozza redatta da Claudia Mancina e dal giurista Stefano Ceccanti, ex presidente della Fuci. E come Ceccanti, ex presidenti della Federazione degli universitari cattolici sono altri sei firmatari, tra cui il senatore Giorgi Tonini, Gianluca Salvatori, Maria Rita Rendeù. Il documento rivendica la necessità del pluralismo per poter arrivare a quel consenso ampio e condiviso necessario sui temi bioetici e che invece la frettolosa ideologia della legge 40 avrebbe negato, proprio sui punti più complessi (“una scelta di mera equiparazione tra l’embrione e il nato, rispecchia solo una parte limitata dell’elaborazione religiosa, scientifica e filosofica”, si legge). Da qui la proposta di dire tre sì, e un solo “nì” sulla fecondazione eterologa.
Per la Chiesa non un fulmine a ciel sereno, ma una grana sì. Oltre ai presidenti Fuci, tra i firmatari ci sono Emilio Gabaglio, ex presidente Acli, Vittorio Sammarco, ex direttore del settimanale di Ac Segnosette, Paola Moreschino, ex presidente, al pari di Giovanni Colombo, dei giovani di Ac. Proprio quei cattolici che Mario Agnes, al culmine delle polemiche che a fine anni 90 portarono alla normalizzazione dell’Ac, definiva “cristiani invertebrati”, succubi della sinistra e aprioristicamente critici della Chiesa. Ma diversamente da quanto avvenne con il referendum sul divorzio e, in tono minore, sull’aborto, quando numerosi raggruppamenti cristiani, dalle Acli agli scout, si misero apertamente di traverso alla via maestra della gerarchia, oggi la portata dello scontro appare più limitato. In realtà, i firmatari del manifesto sono un po’ le seconde linee dei protagonisti dello scontro campale che oppose Vaticano e progressisti nei due decenni scorsi, e che vide soccombere questi ultimi. I nomi importanti di quegli anni – da Monticone alla “scuola bolognese” – non ci sono. Difficile leggere nell’iniziativa qualcosa di più che un’azione di disturbo, o testimoniale, di fuoriusciti.


Qualche campanello per la Cei
La presa di posizione ripropone però la storica lontananza del cattolicesimo progressista dal pensiero attuale della Chiesa. La centralità del tema bioetico come decisivo luogo di uno scontro culturale è fondamentale nell’antropocentrismo cristiano, molto meno per la sinistra tardo-conciliarista. Due grandi visioni di fondo che si sono confrontate nella Chiesa di questi anni e su cui il documento rivendica un punto di vista autonomo: a proposito di ricerca sugli embrioni, si legge ad esempio che “il suo rifiuto aprioristico appare il frutto di una rigida scelta ideologica che concepisce in modo statico la tutela della vita”. Parole avvelenate per Paolo Sorbi, presidente del Movimento per la vita ambrosiano, secondo il quale, però, “la gravità dell’iniziativa è piuttosto di carattere teologico: queste posizioni sono figlie di una teologia che, alla fine, sforna sempre e solo un cedimento al secolarismo”. Teologicamente, questi “devoti atei” sono del resto i nipotini di quel Dosseti che ancora negli anni 90 diceva “non dobbiamo ad ogni costo darci da fare per salvare qualche rottame della cristianità“.
“Non crediamo che ci venga dietro chissà chi” dice comunque Colombo, “del resto il clima della Chiesa di Ruini è tale che nessun movimento o associazione si discosterà dalla linea ufficiale”. Parole che lasciano trasparire quasi più un’insofferenza per Ruini e le sue scelte (“non vogliamo essere nella vita politica come Pilato nel Credo”), che neanche un interesse per i destini dell’embrione. Piccoli segnali di fronda. In questo senso non si può non ricordare anche l’accoppiata di interviste Andreotti-Scalfaro che nei giorni scorsi, sul Corriere, si sono pronunciati per il “no”, su una linea differente da quella ruiniana dell’astensione. Campanellini d’allarme in una partita che Ruini sembra avere saldamente in mano, anche se il fischio finale è ancora lontano.


Il Foglio (02/02/2005)