Aldo Moro. Vecchie e nuove strumentalizzazioni

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I comunisti lo uccisero, il Partito democratico lo strumentalizza

Comunisti e sinistra democristiana, che in quei 55 giorni del 1978 hanno rappresentato l\’asse del "partito della fermezza", dopo il rinvenimento del cadavere hanno usato Moro come "testimonial" di un nuovo equilibrio della politica italiana – la "terza fase" – imperniato su comunisti e sinistra cattolica. Le celebrazioni in corso non sfuggono a questa non veritiera rappresentazione…

di Ugo Finetti

A trent\’anni dall\’assassinio il "caso Moro" appare offuscato da una stratificazione di dietrologie e superinterpretazioni che hanno fatto perdere di vista l\’evidenza e la crudele banalità di quanto è avvenuto. Comunisti e sinistra democristiana, che in quei 55 giorni del 1978 hanno rappresentato l\’asse del "partito della fermezza", dopo il rinvenimento del cadavere hanno usato Moro come "testimonial" di un nuovo equilibrio della politica italiana – la "terza fase" – imperniato su comunisti e sinistra cattolica. Le celebrazioni in corso non sfuggono a questa non veritiera rappresentazione come emerge, ad esempio, da "Aldo Moro, Lettere dalla prigionia" (Einaudi, pp. 400, 17,5 euro). Il curatore, Miguel Gotor, nell\’ampia ricostruzione, dipinge Moro come una sorta di profeta del Partito democratico la cui morte avrebbe ritardato di quindici anni l\’avvio della "terza fase". L\’idea di Moro uomo da "processare" (come scritto nel primo comunicato brigatista dopo il rapimento) risale al marzo 1977. Nel corso del dibattito parlamentare sullo scandalo Lockheed, Moro aveva dichiarato: «Noi non ci faremo processare nelle piazze». Ma chi era Aldo Moro nel 1978? Da tempo il presidente della Dc non è più l\’interlocutore privilegiato del Pci. È proprio Moro a frenare sul Pci nell\’esecutivo quando si apre la crisi voluta dal Pri di Ugo La Malfa per dar vita a un governo con ministri comunisti. Respinge prima l\’ingresso diretto del Pci poi quello di indipendenti o tecnici filo-comunisti e infine i veti di Berlinguer. Infatti è Moro a bloccare il presidente incaricato Andreotti e a rimettere i nomi dei ministri depennati dal Pci (Donat Cattin e Bisaglia). Berlinguer convoca la segreteria del Pci e non dà più per scontato il voto a favore. Intanto nella notte tra il 15 e il 16 marzo vengono mandate al macero le copie de "L\’Unità" con la lista concordata con Andreotti e Zaccagnini e il commento favorevole di Natta. "Repubblica" in quelle stesse ore parte all\’offensiva di Moro con un articolo che lo coinvolge nelle tangenti della Lockheed. Moro viene rapito l\’indomani mattina mentre si reca alla Camera per assistere alla presentazione del governo. Nell\’edizione straordinaria di "Repubblica" scompare l\’articolo pubblicato la mattina in terza pagina. Quando giunge la prima lettera di Moro prigioniero, il Pci è categorico sulla linea della "fermezza" senza la minima esitazione di fronte alla sua morte: «Sia ben chiaro – notifica Pecchioli a Cossiga – Moro vivo o Moro morto, per noi con questa lettera Moro è morto». Il Pci è infatti convinto che senza Moro avrà a che fare con un gruppo dirigente democristiano molto più influenzabile. È quindi a Craxi che il leader prigioniero si rivolge con fiducia: «Ti scongiuro – gli scrive – di fare in ogni sede opportuna tutto il possibile nell\’unica direzione giusta che non è quella della declamazione». Nella Dc si registrano diverse esitazioni sulla decisione di abbandonare il presidente del partito al suo destino. "La Dc è nella tempesta" titola il "Corriere della Sera" il 1° maggio. Seguono giornate che vedono Andreotti, Cossiga e Berlinguer sempre più in difficoltà nel sostenere la "fermezza". Moro è ucciso proprio la mattina di quel martedì 9 maggio in cui la direzione della Dc è convocata per una verifica di tale linea su richiesta di Fanfani. In conclusione quel che emerge da quei 55 giorni è come il nostro terrorismo, anche se ebbe contatti con l\’estero, non fosse un commando pilotato dall\’estero, ma una storia italiana, un fenomeno che si muoveva vantando un\’ampia platea consenziente con cui dialogava. In secondo luogo va rimeditata la "fermezza" del Pci alla luce delle polemiche interne che animerà nei mesi successivi Giorgio Amendola accusando Berlinguer e Lama di aver abbassato negli ultimi anni la guardia di fronte all\’estremismo e ai violenti nelle fabbriche e nel sindacato.

LIBERO 15 marzo 2008

tratto da   www.lozuavopontificio.net