ABORTO: dopo il Portogallo cade anche il Messico

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Il sindaco di Città del Messico, l’esponente della sinistra progressista Marcelo Ebrard, approva la legge che depenalizza l’abotro fino alla dodicesima settimana. Il partito del presidente Calderón prepara il ricorso alla Corte suprema. Le battaglie del movimento di sinistra del sindaco sono in controtendenza con il sentire comune del paese, legato al cattolicesimo. A gennaio è stata approvata una legge che legalizza le unioni omosessuali, mentre ora è in programma un progetto legislativo che renda legale l’eutanasia. L’obiettivo di Ebrard e è quello di instaurare un nuovo trend nell’America latina…

Città del Messico ha detto sì alla depenalizzazione dell’aborto, nonostante l’opposizione dei cattolici e il rischio di un immediato intervento della Corte suprema, opportunamente sollecitata da molti membri del partito del presidente Felipe Calderón e dalla grande comunità cattolica. L’Assemblea legislativa della capitale ha approvato una legge che permette l’interruzione di gravidanza entro le prime dodici settimane con 46 voti a favore, 19 contrari e un’astensione. E’ stata una vittoria per la sinistra progressista del sindaco Marcelo Ebrard e del suo Partito della rivoluzione democratica (Prd) e dunque una sconfitta per il Partito di azione nazionale (Pan), bandiera dei conservatori della destra cattolica. Per i messicani l’aborto è ora consentito, ma soltanto a Città del Messico. Negli ultimi mesi il dibattito era stato acceso in tutta la nazione e domenica scorsa era intervenuta contro il provvedimento addirittura la first lady, Margarita Zavala. Tra le critiche c’è soprattutto quella di chi teme l’invasione di migliaia di donne negli ospedali della capitale, una delle città più grandi del mondo e con strutture in grado di ospitare il cosiddetto “turismo abortivo”. Soltanto per quel che riguarda il Messico, i numeri ufficiali parlano di 10 mila aborti praticati illegalmente; quelli officiosi, presumibilmente più vicini alla realtà, fanno salire il numero a mezzo milione. Finora l’interruzione di gravidanza era autorizzata in caso di stupro, malformazione del feto o rischio per la salute della madre. Il sindaco Ebrard e i suoi hanno festeggiato per le strade il voto. Una folla di attivisti per il diritto all’aborto si è ritrovato di fronte al monumento di Benito Juarez, un riformatore anticlericale del diciannovesimo secolo, cantando: “Sì, ce l’abbiamo fatta!”. Le battaglie del movimento di sinistra del sindaco sono in controtendenza con il sentire comune del paese, legato al cattolicesimo. A gennaio è stata approvata una legge che legalizza le unioni omosessuali, mentre ora è in programma un progetto legislativo che renda legale l’eutanasia. L’obiettivo di Ebrard e è quello di instaurare un nuovo trend nell’America latina: a oggi soltanto Cuba, Guyana e Portorico considerano legale l’aborto, la più parte dei paesi lo consente soltanto in caso di stupro e del rischio di vita per la madre; Nicaragua, El Salvador e Cile lo proibiscono completamente. Il mondo cattolico messicano è già in movimento. “E’ un atto contro la Chiesa cattolica”, ha detto l’imprenditore antiabortista Carlos Vandez; “un passo indietro per la democrazia”, lo definisce Armando Martinez, leader del gruppo di avvocati cattolici che fa pressioni perché la legge sia sospesa e si tenga invece un referendum sull’aborto. L’arcidiocesi di Città del Messico è una delle più grandi del mondo: per evitare l’approvazione di questa legislazione si era mobilitata anche la Santa Sede. Domenica scorsa il segretario di stato vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone, aveva fatto arrivare un messaggio ai vescovi messicani in cui il Papa esortava a “difendere con ferma decisione il diritto alla vita di ogni essere umano”. “Il Consiglio episcopale – si legge in una nota ufficiale – sta valutando alla luce del Vangelo e di consultazioni con esperti le conseguenze morali di questa riforma”. Sarà l’arcivescovo Norberto Rivera Carrera a pronunciarsi sulla “svolta” messicana in materia di aborto nell’intervento che terrà domenica prossima.

Il Foglio 26 aprile 2007